Artò ed il futuro (incerto) delle fiere romane

di Redazione Commenta

La notizia non ha ancora avuto conferme ufficiali ma se si rivelasse vera non sarebbe certo un segnale positivo per il sistema dell’arte romano. Secondo alcune voci di corridoio la fiera romana d’arte contemporanea dell’Eur che in occasione della sua seconda edizione dello scorso anno aveva mutato il suo nome in ArtO’, Art Fair in Open City potrebbe subire una definitiva cancellazione.

La notizia a dir poco sconfortante potrebbe essere avvalorata anche dal fatto che il sito della manifestazione è temporaneamente oscurato. Già durante la prima edizione della fiera dell’eur diretta avversaria di Roma The Road to Contemporary art si erano ravvisati alcuni problemi sia legati al volume delle vendite delle opere in fiera sia dovuti alla scarsa organizzazione logistica, basti pensare al fatto che alcuni stand dovevano essere ancora allestiti una manciata di ore prima dell’inizio della preview. Per il secondo anno di attività Arto’ (con il nome nuovo di pacca)  era stata affidata alla guida del curatore Raffaele Gavarro che aveva svolto un buon lavoro, proponendo interessanti gallerie ed orchestrando al meglio una fiera che per un’oscura sorte del destino sembrava non decollare. L’avventura di Gavarro si è conclusa con un sostanziale pareggio visto che le vendite non sono poi fioccate come si sperava e le opinioni degli addetti ai lavori si sono rivelate piuttosto freddine.Certo se Roma perdesse Arto’ il fatto non gioverebbe di certo ai piani di coloro che avevano già proiettato la città eterna nel firmamento dell’arte contemporanea.

The Road To Contemporary, Artò, il Macro, il rinnovato Palazzo delle Esposizioni ed il neonato Maxxi sembrano parti di un mosaico che stenta a far emergere la sua figura finale, una sequela di infrastrutture potenzialmente vincenti che è ancora alla ricerca di conferme. Forse Roma è pronta per il contemporaneo o forse ancora non lo è ma quello di cui la capitale ha bisogno è di concentrare le forze verso un unico grande punto e non frammentare l’offerta culturale in una miriade di punti infinitesimali.

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