Paul Gauguin era un gran bugiardo, lo dice il Tate

di Redazione Commenta

La Tate Modern di Londra ha già preso appuntamento in anticipo per il prossimo autunno, si tratta della mostra Maker of Myth, evento dedicato al grande genio di Paul Gauguin (e curato da due donne Belinda Thomson e Christine Riding) che si aprirà il prossimo 30 settembre e si concluderà il 16 gennaio 2011. Alla mostra saranno presenti oltre 100 opere tra cui svettano I sensuali ed affascinanti dipinti di Tahiti. I curatori della mostra hanno già dichiarato che nel corso dell’evento sarà possibile scoprire dei lati di Gauguin che non conoscevamo.

Il maestro, sempre secondo i curatori, fu un grande manipolatore della verità, un astuto inventore di architetture sbalorditive oltre che un astuto manager di se stesso proprio come noti nomi della scena dell’arte contemporanea come Jeff koons o Damien Hirst. Ad esempio la frutta che compare nei suoi dipinti è un prodotto della sua immaginazione. Nel dipinto Hin Parahi te Marae (1892) Gauguin rimette in scena un rituale cannibale “Gauguin ha re-inventato la scena puntando sui pregiudizi dei suoi spettatori, il cannibalismo appartiene ad un passato molto remoto di Traiti, largamente antecedente all’epoca del pittore” ha dichiarato Thomson. Ma l’artista fu anche il fautore di una mitologia del sé, L’opera il Cristo Giallo del 1889 fu ispirata dal crocifisso ligneo dipinto di giallo situato nella cappella di Trèmalo, poco distante da Pont-Aven; ma il volto di Cristo, invece, è un suo autoritratto appena sfumato, “Era un grande manipolatore della sua stessa identità e gli piaceva creare dei miti attorno a se stesso” afferma Riding.

Infine per quanto riguarda le sua abilità manageriali, è innegabile che nel corso della sua tormentata carriera, Gauguin abbia guadagnato molti soldi ma è pur vero che ne sperperò altrettanti, in una sua lettera del 1896 è infatti possibile leggere:“A che pro inviare questa tela, se ce ne sono tante altre che non si vendono e fanno urlare? Questa farà urlare ancora di più. Sono dunque condannato a morire di buona volontà per non morire di fame ».

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