Giovedì difesa: Source code e i figli d’arte

di Redazione 1

Purtroppo nel mondo del cinema mi sono abituato a pensare che i figli d’arte non siano molto capaci a far quasi nulla. Mi rendo invece conto che, con poche eccezioni, sto parlando dell’Italia. Questo luogo comune non trova riscontro (suppongo anche li con eccezioni che non conosco) in quel che mi appare dal mondo cinematografico americano e britannico. Mi soffermo infatti su alcuni nuovi registi.

Dunque dirò che mi piacciono tutti i film senza eccezione di Sofia Coppola. Trovo che Somewhere abbia vinto meritatamente a Venezia e ringrazio la competenza di Tarantino che ha commentato con l’unica critica possibile sul film, ovvero che dopo averlo visto continui a vedere altre cose ma non ti esce mai dalla mente. Del film di Sofia Coppola amo la camera lenta, l’indugiare, lo stesso indugiare che crea lo straniamento di Bill Murray in Lost in Translation, e poi i sentimenti che sfuggono, non sono detti, allora scappano, volano via. Ci vedo abbastanza originalità e non troppi legami apparenti con la regia del padre, di cui pure pare conoscerne una certa poesia.

Figuratevi se è possibile capire chi è il padre di questo Duncan Jones, regista di fantascienza al secondo film. Source code è un lavoro a tratti perfino mentale e concettuale, come già lo era per altri versi il primo film Moon. Il figlio di David Bowie si ripete qui in una costruzione degna di K.Dick, di cui ne assimila la lezione per quanto riguarda la vaghezza e instabilità del concetto di realtà, ma dentro cui porta ad un livello più ossessivo la ripetizione.

Gli ossessivi ultimi otto minuti di vita del protagonista, infatti, sono portati avanti per tutto il film. La stessa possibilità di ripeterli però genera mondi, trame dentro trame. Duncan Jones non si lascia attrarre dal senso vacuo del vacuo ripetersi, come accade nel telefilm Day Break e nel film Ricomincio da capo con Bill Murray. Qui non si cede al compiacimento e la storia stessa si trasforma, crea un serpente che torna su se stesso alla disperata continua ricerca della vita. Il serpente stesso ti costringe a stare attento al dettaglio, non lo nega affatto perchè vacuo, bensì lo rivaluta, lo trasforma in vitale, gli ultimi otto minuti e bisogna decidere cosa è importante… un soldato porta a termine il suo dovere, ma un uomo chiama suo padre e bacia la donna di cui si sta innamorando. Un lavoro di fantascienza ricco, di qualità.

Commenti (1)

  1. L’ ho visto al cinema, mi è piaciuto, nonostante mi abbia dato a tratti l’ impressione di voler seguire in fretta e furia la scia di Inception…
    Gyllenhaal lo adoro anche se in ogni film che fa, non si sa come, riesce a farti tenerezza (pure in Jar Head).
    Bella la chicca Anish Kapooriana.
    🙂

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