Sought City – geografie immaginarie di Yifat Bezalel

di Redazione Commenta

Sempre più spesso si parla di cattiva gestione del contemporaneo, di gallerie il cui unico scopo si dimostra essere finalizzato al commercio e sempre meno alla ricerca; mi sembra anche doveroso sottolineare che ci sono gallerie e istituzioni che invece continuano a muoversi privilegiando un ambito scientifico di notevole interesse. Questo è il caso, a mio parere, di Marie-Laure Fleisch, di cui seguo da tempo le mosse artistiche e che mi sembra dimostrarsi ogni volta all’altezza delle aspettative.

Particolarmente interessante in questo senso è il ciclo espositivo  About paper. Israeli Contemporary Art a cura di Giorgia Calò che, attraverso il lavoro di sette artiste che utilizzano la carta come mezzo espressivo dalla natura multiforme, mette in scena la problematicità dell’appartenenza al contesto Israeliano.

Il secondo dei quattro appuntamenti previsti in galleria è dedicato a Yifat Bezalel, artista che vive e lavora a Tel Aviv e che, attraverso supporti cartacei di grandi dimensioni, mette in scena un immaginario variegato che partendo dallo spazio fisico del territorio si apre a suggestioni della memoria e della fantasia fino a giungere ad un luogo interiore in cui esprimere il proprio senso di appartenenza.

Il titolo della mostra Sought City ci lascia intuire il riferimento alla città di Gerusalemme, intesa come terra promessa, luogo in cui si condensa il desiderio così come, in un parallelo offertoci dall’artista stessa, può apparire ad Alice, Il Paese delle Meraviglie. La figura di Alice ricorre spesso nelle opere, sia in veste di ricordo infantile, sia come elemento metaforico, l’artista è infatti particolarmente legata al momento in cui la protagonista della fiaba precipita in un mondo sconosciuto,dove avviene quella frattura spazio-temporale, quel corto circuito di senso che è caro alla tematica trattata.

“Se esistessero tante Gerusalemme, non ambirebbero tutti ad abitare la stessa”, questa frase che l’artista ha appreso da un suo professore in accademia, sembra fare eco in tutto il lavoro dell’artista: lo vediamo in particolare nell’opera Yerushalaim, un tavolo sospeso su cui è stesa una mappa immaginaria che parte come sempre dal contesto geografico per poi aprirsi a figurazioni ideali della Città.

Altro elemento particolarmente significativo nel lavoro di Bezalel è il valore che l’artista dà all’immagine; come ricordava la curatrice, la religione ebraica non si esprime attraverso l’uso di icone o immagini sacre, in tal senso e contrariamente a quanto invece siamo abituati a rilevare in occidente dove prorompe fino ad annullarsi,  qui l’immagine  acquista un carattere fortemente simbolico, diventa il mezzo per raggiungere questa meta interiore e lo fa proprio attraverso richiami all’arte rinascimentale, alla letteratura, a tutte le forme culturali che si sono manifestate come portatrici di identità; lo vediamo nelle figure femminili leonardesche, nelle sagome prorompenti di cavalli, negli schemi preparatori  e persino nei segni informali. Qua e là interviene sulla superficie grafica una proiezione luminosa che sembra soffermarsi di volta involta su alcuni aspetti della mappa onde a dimostrare il costante alternarsi dei punti di vista possibili.

Infine grande importanza ha per l’artista la rappresentazione delle porte, dislocate qua e là lungo i profili delle mappe, come degli stargate che ci permettono di passare dalla nostra realtà ad una altrettanto sensibile che risiede nell’immaginazione.

Dunque l’artista sembra volerci accompagnare, attraverso la delicatezza del suo segno, in un viaggio che dalla crudezza della contingenza ci porta lungo le vie della ridefinizione e delle possibilità, strumenti potenti per abbattere qualsivoglia barriera di tempo, spazio, diversità culturale specialmente in un ambito come quello del mondo globale dove i confini sono così sottili e talvolta evanescenti da rendere assolutamente impensabile ragionare ancora in termini di possesso e di rivendicazione, sarebbe auspicabile invece ricorrere alla creatività, quale unica “arma” per creare un saldo legame tra individui che pur appartenendo a logiche diverse, condividono gli stessi imprescindibili valori dell’esistenza

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