Il fundraising non esiste

di Redazione 3

Il fundraising è la soluzione a tutti i tuoi problemi, il fundraising ti salverà. Esistono scuole, festival, corsi e master per il fundraising, esistono esperti, agenzie  e quanto altro. Tutti ti ripetono le stesse cantilene:“Attuare tutte le strategie utili per incontrare le esigenze dello sponsor”, “mirare al cuore del brand con il matching, un nuovo metodo per fare networking”, “liberate le vostre energie e adottate tutti gli strumenti a vostra disposizione”.  

Ma il fundraising in realtà è un meccanismo ben più semplice di questi automatismi lessicali. Un soggetto chiede soldi per un dato progetto e lo sponsor sborsa i quattrini. Facile no? Mica tanto, anche perché se ognuno di noi bussasse alla porta di una grande azienda e chiedesse i soldi per un suo grande progetto la povera azienda fallirebbe nel giro di pochi giorni. Certo il fundraising funziona quando si parla di raccogliere fondi per azioni umanitarie ed organismi no profit ma se ci spostiamo nel nostro dorato mondo della cultura le cose si complicano di parecchio. Potremmo senza ombra di dubbio affermare che il fundraising non esista affatto. Vale sempre la solita storia, se si dispone delle giuste amicizie i soldi si trovano, altrimenti nisba.

Gli esperti ci fanno sapere che se vogliamo raccogliere fondi per il nostro museo, biblioteca, teatro, fondazione o associazione culturale dobbiamo per forza di cose “guardarmi attorno alla ricerca di nuove strategie di sostenibilità” che cosa significhi questo nessuno lo sa, magari si tratta di fare del porta a porta e farsi sponsorizzare dalla salumeria sotto casa. Ma gli esperti non lo sanno nemmeno come si fa a “fare fundraising” si divertono riempir la bocca con questa simpatica parolina e nulla più. Un giorno la scrivente interrogò un celebre docente di Fundraising chiedendogli un aiuto per un determinato progetto, la risposta del docente fu: “Ma io non so a chi chiedere fondi, io faccio il docente non il fundraiser” e scusate se è poco.

Commenti (3)

  1. Il fundraising esiste eccome. Non di soli sponsor si vive, e anzi. Se parliamo di imprese e cultura, allora possiamo parlare di restrizioni, difficoltà, ambiguità, ma queste derivano, come tante altre cose, in larga parte dall’incapacità degli enti nel passato di costruire proposte convincenti o sul piano dell’interesse (sponsorship) o del coinvolgimento (donazioni) o della responsabilità (CSR) con le imprese. Il fundraising funziona benissimo in tantissime situazioni, il punto fondamentale è che: puoi fare fr per qualsiasi causa, non puoi fare fr per qualsiasi organizzazione. Per molte organizzazioni ci sono limiti dimensionali (organizzativi, temporali, economici) impossibili da superare, per altre le strade di aprono quando si decide di: investire sul fundraising e ancora PRIMA dedicarsi con pazienza e umiltà a un cambiamento di mentalità. Si finisce col fare il porta a porta tra pasticcerie e macellerie perché si decide che quella sia la strada e che non possa funzionare altrimenti, mentre quella è solo una peraltro interessante ma parziale modalità di raccolta fondi. Che poi attorno al fr ci sia della mitologia: vero. Ma, facendolo per lavoro e soprattutto come testimone della enorme bravura e di fronte ai risultati sorprendenti di tanti colleghi, affermo con fierezza: il fundraising esiste, grazie al cielo, e alle giuste condizioni funziona alla grande. Un saluto e grazie per gli stimoli.

  2. Posso capire lo spirito del tuo editoriale, avendo collaborato e collaborando tutt’oggi con organizzazioni culturali. Come dice Riccardo, però il fundraising esiste, ed inizia ad essitere anche per le organizzazioni che operano nei settori della cultura!
    Il fundraising esiste, ma per crescere necessita di spazio non solo operativo, ma anche strategico. Troppo spesso ho incontrato organizzazioni culturali concentrate solo sulla “produzione” (mostre, eventi, spettacoli, etc..) e poco o nulla sulla gestione dell’organizzazione stessa. Oppure convinte di dover cercare i denari di qualcuno che a loro dire li aveva e “avrebbe dovuto darli a loro perché era giusto così”. Questo però non fundraising, molto spesso confuso anche con lo sponsoring (contratto di tipo commerciale). Il fund raising è molto di più: è portare la cultura al suo vero valore, ovvero di coesione sociale, di funzione aggregativa e valoriale, fondamentale per tessere il nostro tessuto identitario. Su questo si cercano, curano e costruiscono relazioni che possono dare denari, ma anche donatori di tempo. Troppo spesso la cultura è concentrata solo sulla sua produzione e molto poco sul suo valore e scopo, cosa fondamentale soprattutto se fatta da enti nonprofit. Fare questo è fare fundraising. Fare la questua lungo i negozi della tua via, non è fundraising, e quindi concordo con te che non esiste. Se invece cerchiamo altro, e soprattutto una nuova visione del mondo e del ruolo della cultura in questo paese, allora possiamo parlarne e posso dirti che il fund raising esiste, basta non essere concentrati sui denari, ma sui donatori. E soprattuto basta aver voglia di dedicare del tempo a questa come alle altre attività, più artistiche.
    Buone cose

  3. Gentile Micol,

    innanzitutto voglio dirle che il suo sfogo che porta senza dubbio a conclusioni sbagliate, è pià che giustificato. FIno d oggi la cultura è stato un terreno non di fund riasing ma di sponsorizzazioni che per lo pià erano marchette politiche, personali e fiscali. QUesto non vuol dire che il fudn raising non esista per la cuyltura. I miei colleghi hanno già rispoto a tale questione nei due post precedenti. Le voglio aggiungere un paio di cose. La prima. Il fund raisng per la cultura esiste nella misura in cui noi lo vogliamo far esistere. Sta a noi immaginare un modo diverso di raccolgiere fondi per la cultura e non semplicemente sottostare alle marchette. Per cui tocca darsi da fare. Sono covito che aziende, cittadini e e fondazioni aspettano con con grande fervore da noi la capacità di impostare un modo diverso di raccolgiere fondi. La seconda. Saper chiedre non vuol dire avere delle tecniche vincenti e magiche.

    Non so quali corsi lei abbia frequentato e quali professori abbia conosciuto. Forse quelli di qualche chiacchiarone markettaro di vecchio stampo. Nei nostri corsi siamo impeganti non tanto ad inseganre ad una associazione culturale ad andare dai salumieri o a bussare alle porte di casa. E tanto meno a trasformare la buona vecchia richeista di fondi in stratagemmi lessicali di effetto. Al contrario insegnamo ad avere una strategia per affrontare la grande sfida della sostenibilità senza pensare che sia una mera questione di marketing e tante altre immagini facili che lei giustamente comincia a detestare. Per cui la prego non faccia di tutta l’erba un fascio. Oppure dica chi le insegna queste cose!

    Comunque, i salumeri non sono così cretini e se fossero appassionati di cultura non vedo perchè non dovrebbero finanziare. SI vada a vedere i 250 e passa sponsor del Festival della letteratua di Mantova e veda quante “salumerie” ci sono! E’ forse il Festival una macchina di vendita fatta di trucchetti di marketing? Non mi sembra proprio. E’ un evento che ha una strategia molto ben strutturata di fund raising che guarda ai propri pubblici come degli investitori e amici di un evento che è deiventato un bene comune. Certo se pensiamo di andare a trovare il vecchio mecenate che munificente sparge i suoi soldi verso quei santi che “producono cultura”, allora non ce la faremo . In tal caso l’errore è nostro e non del fund raising. Molti finanziatori reputano i progetti culturali loro proposti carenti, deboli, poco chiari e soprattutto che non offrono nessuna opportunitò non solo comemrciale (che sarebbe il meno) ma sociale e culturale.

    Per cui, testa bassa e pedalare, rompendo gli indugi e trasformando l’amarezza in forza strategica. Non esiste altra soluzione. Altrimenti restano solo le lamentele.

    Auguri per tutto.

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