IL RUMORE CHE RESTA, Ricci/Forte Macadamia Nut Brittle

di Redazione Commenta

“Il rumore che resta, il rumore che resta di te”. Chi mai ha immaginato di poter restare per un attimo soli, in silenzio e cercare quel che resta dentro di sé, di un rumore, del rumore di un altro nel nostro corpo, nella nostra vita. Basterebbe distaccarsi dall’appiattimento che sta alla base della nostra quotidianità e magari potremmo ascoltarlo. Se riuscissimo a compiere quest’operazione, potremmo attraversare una porta, quella che ci permetterà di guardare fisso in fondo noi stessi, senza filtri o edulcoranti.

“Qual è il tuo rumore? Qual è il tuo rumore dell’amore?”. Inizieremo quindi a sentire la vita attraverso il nostro corpo cercando di afferrare a 360 gradi tutti gli impulsi che ci circondano. Ricci/Forte – Macadamia Nut Brittle. “Facciamo finta che ci amiamo”. Slanci, euforie, crisi, pianti, dolore, sesso e poi abbandono, amore, disinteresse, ironia, desiderio di annientarsi. Tutto davanti ai nostri occhi con estrema sincerità, testimoni di una radiografia della realtà, dell’uomo, di noi stessi.

Gli attori portano in scena situazioni vissute realmente conoscendo con responsabilità e consapevolezza ciò di cui si parla. “Spegnete le telecamere sono una persona, non sono un cane” urlano in sala. Ogni singolo dialogo, ogni singola parola arrivata all’orecchio ti penetra il corpo attraversando ogni singolo organo. E’ a quel punto che avviene la connessione tra pubblico e attori in scena. Non vi è più alcuna differenza.

“Lo strappo nel cielo di carta” del quale il nostro Pirandello tanto cercava di teorizzare, qui trova il suo compimento. In questo momento l’unica azione possibile è quella di lasciarsi andare, continuare a solcare l’analisi che gli attori stanno attuando e sentirsi un tutt’uno con essi. “La volontà di sfrattare un sentimento da solo non basta, il cuore attrezzeria sopravvaluta, continua a battere prima, durante e dopo. Nei due polmoni la presenza dell’altro”. Anche noi riusciamo a sentire la presenza, di un’altro, degli altri nel nostro corpo. Attraverso questa performance sono soltanto i corpi e le parole degli attori ad indicarci cosa serve.

MACADAMIA NUT BRITTLE. Metafora di un gelato famoso: il consumismo inteso come omologazione, tentativo di trasformarsi e cambiare forma, maschera. E qui c’è tutta la polemica nei confronti della nostra società dove siamo costretti passivamente ad imitare dei modelli. Una donna in scena canta, senza emanare voce, solo muovendo le labbra; ”Love of my life” dei Queen risuona in tutta la sua carica emozionale: qui il tentativo di manifestare un sentimento, di dichiarare qualcosa di nascosto e di oppresso.

Dall’unione delle penne di Ricci/Forte si evince un messaggio chiaro e forte, un messaggio che trapassando tutto il nostro corpo viene assimilato dalle nostre menti. “Questi siamo noi, tutti noi, SOLI, senza un lieto fine nella pioggia; cambiamo continuamente per piacere agli altri, come un gelato MACADAMIA NUT BRITTLE, ci confezioniamo”. Calano le luci sul palco ma non su di noi; ad illuminarci un piccolo lanternino che ci ricorderà per sempre che non dobbiamo aver paura di imparare a vivere da soli.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>