Smeared with the Gold of the Opulent Sun alla Nomas Foundation di Roma

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La mostra Smeared with the Gold of the Opulent Sun è ispirata a un personaggio mancante, una figura centrale ma assente. La si potrebbe intendere come un tentativo – necessariamente fallito – di ricostruire la sua storia a partire da alcune pagine di quello che sembra essere il suo diario, e da una collezione di frammenti e una collezione di immagini e oggetti presumibilmente creati, o raccolti, da lui. Per quanto abitasse a Roma, non è dato sapere se vi sia anche nato o se vi sia morto (o se sia morto sul serio o invece sia solo disperso, o si sia recato altrove lasciando deliberatamente dietro di sé questa imperscrutabile, ma elegante, autobiografia per oggetti). È anche difficile stabilire quando sia vissuto.

Forse in un passato lontano o non tanto lontano (il tempo dei polli di gomma?), o forse addirittura in un imprecisato momento del futuro. Come la grande e ammalata città in cui viveva, i residui della sua vita testimoniano strati temporali contradditori, epoche che si sovrappongono l’una all’altra. Chi era? Cosa faceva? Anche questo è un bel mistero. Come tutti, va da sé, pare che egli abbia amato. Che abbia lottato per difendersi e sopravvivere. Che abbia cercato di comprendere i tempi sofferti in cui è vissuto. Impossibile dire fino a che punto ci sia riuscito. E se mai qualcosa si può dire con un minimo di certezza – pur sempre speculativa – è che egli sembrava nutrire un certo interesse per la consistenza materica del suo circondario e per il vento che lo spazzava, come se l’una fosse il negativo dell’altro, la registrazione, la prova del suo passaggio: l’una imbevuta di tempo e l’altro, com’è ovvio, senza tempo. Sfortunatamente, se da un lato tutto questo non ci dice granché, sembra già raccontarci molto più del dovuto se non sulla sua identità, almeno sul mondo nel quale si muoveva e che si muoveva in lui.

La mostra propone opere di otto artisti che vivono a Roma o che vi hanno trascorso un periodo della loro vita, anche solo per lavoro. Luisa Gardini (n. 1935), partecipa con tre piccole sculture mai esposte, Senza titolo, Senza titolo e Senza titolo (1965, 1965, 1968). Ricavati da frammenti di legno, pezzetti di carta e scampoli di tessuto, gli assemblaggi scultorei di Gardini, con le loro intime proporzioni, fungono tanto da capsule del tempo quanto da indagini, fuori dal tempo, su alcuni materiali quotidiani. Come gran parte delle opere esposte, essi hanno il pregio di essere difficilmente collocabili nel tempo, in quanto sembrano appartenere sia al presente, sia all’epoca in cui sono stati realizzati. L’artista inglese Richard Gasper (n. 1982) partecipa con Uff (2011), scultura in resina e ceramica creata durante il periodo trascorso alla British School romana tra il 2010 e il 2011. L’opera consiste in una spessa lastra di argilla non cotta e perforata, conservata in un blocco di resina traslucida.

Questo oggetto stranamente elusivo, pittorico e scultoreo insieme e i cui tratti spiazzanti e fascinosi ricordano sia la carne umana sia qualcosa di commestibile, potrebbe essere interpretato come una sorta di reperto scientifico, o il frammento di un tutto più grande e indefinibile. Uff occupa quello spazio di relativa imperscrutabilità che è quella che caratterizza la mostra nel suo complesso. Giovanni Kronenberg (n. 1974), di stanza a Roma e a Milano, espone La leggerezza dell’arrossire (2002-2007), un bonsai sulla cui corteccia sono incise le iniziali dell’artista e della sua ex fidanzata. Concepito un anno dopo la fine della loro relazione, l’alberello, più che essere un elaborato omaggio a un amore passato, è un tributo alla fragilità della memoria e al nutrimento di cui essa ha bisogno per funzionare e sopravvivere. Il contributo dell’artista tedesco Jochen Lempert (n. 1958), residente ad Amburgo, è una singola fotografia in bianco e nero scattata in Via della Pace mentre abitava a Villa Massimo nel 2009. Difficile da capire al primo sguardo, essa documenta lo strano comportamento di un gruppo di api che, contrariamente alle loro abitudini, paiono aver fatto il nido all’aria aperta. Matteo Nasini (n. 1976) presenta un’installazione sonora, Untitled Pass Through (2012), consistente nella registrazione dei suoni prodotti da diversi strumenti musicali costruiti dall’artista in persona. L’installazione tenta di materializzare immaterialmente uno dei più sfuggenti ed elusivi fenomeni naturali: il vento. Dal canto suo, Nicola Pecoraro (n. 1978) espone due fotografie manipolate. Le immagini, deliberatamente danneggiate mediante emulsioni e rifotografate, danno l’impressione di essere state recuperate nelle medesime zone morte urbane, piene di detriti, che immortalano. Alessandro Piangiamore (n. 1976) presenta Ponentino e Scirocco appartenenti alla serie Tutto il vento che c’è. Queste due sculture sono parte di un ampio progetto in divenire, che intende realizzare i ritratti di oltre 140 venti conosciuti di tutto il mondo.

Come nel caso di Ponentino – chiamata come il vento che soffia lungo la coste toscane e laziali – l’artista lascerà un monolite foggiato con la terra presa nel luogo in cui il vento soffia che viene via via segnato dal passaggio del vento in questione, che l’artista ha in seguito recuperato e esposto. Carlo Gabriele Tribbioli (n. 1982) presenta l’elaborato costume in piombo e relativo armamentario usati per la performance Ancora agitazioni nel sepolcro del Nacigno (2007). Prendendo spunto dal piombo e dai suoi effetti saturnini sul corpo e sulla psiche umani, la performance intendeva fungere da esorcismo simbolico degli “umori” saturnini.

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