L’arte del ripetersi

di Redazione Commenta

Da tempo Globartmag riflette su ciò che avviene all’interno della scena del contemporaneo del Belpaese. Al di là di inutili polemiche ciò che salta miseramente all’occhio è che l’arte italiana non ha più la forza e la voglia di rischiare, di forzare le barricate tentando una disperata ma in certi casi salvifica corsa fuori dalla trincea .

Da tempo immemore oramai le nuove generazioni di artisti prediligono il concetto di riconoscibilità estetica dell’opera in funzione di un sistema dell’arte nostrano che diviene così pericolosamente simile a qualsiasi altra manifestazione commerciale industriale.  Il prodotto artistico deve essere rigorosamente associato al nome dell’artista e questi deve per forza di cose apparire in prima persona su riviste di settore e quanto altro rivendicando la paternità della propria opera. In virtù di ciò l’appassionato, il collezionista ed il curatore saranno ben consci sul chi ha fatto cosa e sapranno ben riconoscere l’arte di un determinato artista anche al primo fuggevole sguardo.

In sostanza l’artista soccorre il fruitore d’arte contemporanea tranquillizzandolo con opere racchiuse in un unico e grande brand alla stregua di qualsiasi altro prodotto impilato sugli scaffali del supermercato. Il vero problema è che tutto questo ripetersi di soggetti e di concetti in salse e colori diversi all’insegna dello slogan “squadra che vince non si cambia” qiu tradotto in “opera che vende non si cambia” rischia di creare un controsenso ideologico e temporale in cui il lavoro di un determinato artista perde totalmente il proprio significato iniziale, se ne aveva uno.

Si parla ovviamente di una reiterazione testarda ed ottusa e non del perfetto ritorno di forme e concetti simbolici presenti nel lavoro di artisti come Joseph Beuys e Francis Bacon le cui opere sono sì riconoscibili ma solamente in virtù della loro valenza estetico artistica e del loro potere concettuale.  Si può riconoscere a prima vista un opera di Bruce Nauman o di Nam June Paik o ancora di Rudolf Stingel ma non certo per questioni legate alla moltiplicazione incontrollata ed ottusa di personali schemi artistici.

Per tornare a bomba, girando per i padiglioni di musei, fiere e biennali ci si può imbattere in artisti internazionali che hanno totalmente stravolto la loro poetica, attuando cambiamenti formali a volte sbalorditivi altre volte un poco meno ma pur sempre coraggiosi e lodevoli.

La maggior parte degli artisti presenti al padiglione italiano ha invece puntato su ciò che sapeva fare, discostandosi ben poco da stilemi estetici e filosofici personali che rappresentano il loro biglietto per una facile riconoscibilità. Con questo non si chiede a nessuno di balzare continuamente di palo in frasca cambiando continuamente soggetti e tecniche ma la prossima volta che in un testo critico si leggerà “X è un artista che persegue un sentiero di sperimentazione artistica personale” sarebbe bello poter ammirare la valenza di tale sperimentazione poiché una ricerca artistica ventennale su di un unico e monotono tema non porta a nessun progresso.

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