Gian Maria Tosatti, Tetralogia della polvere alla Casa Bossi di Novara

di Redazione Commenta

Uno splendido edificio antonelliano abbandonato per oltre trent’anni. Una storia dimenticata trasformata in polvere. Questo è lo scenario in cui si ambienta la mostra Tetralogia della polvere di Gian Maria Tosatti, realizzata in co-produzione dal Comitato d’Amore di Casa Bossi e da Associazione Culturale Rest-Art, in collaborazione con LaRete Art Projects e con patrocinio della Fondazione Comunità Novarese Onlus.

Dal 23 aprile (opening su invito 21-22 aprile) Casa Bossi a Novara diventa teatro di un’opera d’arte ambientale, in cui l’artista offre una sapiente lettura dello spazio monumentale e delle sue testimonianze nascoste.  Il vuoto primordiale dell’edificio (5000 metri quadri disposti su otto livelli) è al centro dell’indagine artistica di Gian Maria Tosatti.
Come i libri lasciati accanto alle finestre – che lentamente scolorano fino a scomparire – Casa Bossi si è consumata nei suoi interni continuamente trafitti dalla luce fino a rimanere vuota, scarnificata. Sono spariti dapprima i corpi, poi gli arredi in legno a seguire quelli in metallo, restano solo pochissime tracce, nascoste negli angoli più bui, come i vecchi termosifoni in ghisa, staccati dai muri e quasi rifugiatisi al buio per non svanire o come i mobili scheletrificati. L’intervento dunque si concentra nell’esaltare queste dinamiche della sparizione.  Tetralogia della polvere è un grande disegno sul pavimento, realizzato da Tosatti rimuovendo dai fasci di luce che attraversano la casa gli strati di polvere accumulatisi negli anni di abbandono. La trama che emerge è un gioco di chiaroscuri fatti con la polvere che si dirada nei punti più illuminati e s’infittisce in molteplici gradazioni nelle zone d’ombra.

Da questo ordito di base si sviluppano le quattro parti dell’intervento, ognuna delle quali segue il percorso di una delle quattro differenti scale dell’edificio. La scala nobiliare, quella della servitù, quella degli inquilini e poi quella di servizio, sono accessi a mondi differenti fra loro, tutti però raccolti nell’unico involucro di pietra.  L’intervento minimale dell’artista conduce dunque a poter isolare una serie di particolari mimetici propri di un ambiente che, isolato dal resto del mondo, ha nel tempo ricreato ogni cosa al suo interno. Sul terrazzo sovrastante il cortiletto all’ingresso, ad esempio, dove c’era una vecchia edera, ormai secca, la vernice degli infissi è andata “sfogliandosi” finendo per riprodurre l’immagine di un verde rampicante; in un grande appartamento dove l’intonaco si stacca in piccoli e leggeri frammenti, simili ad ali di falene, si seguirà l’evoluzione di questi segni fino a un’ultima trasformazione che li vedrà diventare vere e proprie farfalle. Infine, salendo una delle scale si arriverà a quella che può sembrare una pietrificazione del cielo.

E’ nella tensione fra reale e immaginario che questa grande installazione ambientale prende forma, come fosse un romanzo in quattro parti, a metà fra la narrativa di Anna Maria Ortese e il riferimento imprescindibile di Sebastiano Vassalli, che in Cuore di Pietra, aveva raccontato proprio la storia di Casa Bossi e dei suoi abitanti nei circa centoventi anni dalla sua costruzione alla chiusura. Tetralogia della polvere è, invece, il romanzo che racconta i trent’anni successivi.
Trent’anni senza l’uomo.

«Non penso sia possibile restituire a una città un suo luogo simbolico, scomparso per trent’anni, semplicemente aprendo una porta. Per ricostruire i ponti caduti, per rammendare il tessuto memoriale di una comunità reintroducendo un elemento obliato per due generazioni, l’arte è forse l’unico strumento capace di una chirurgia tanto profonda. Quel che dunque intendo fare non è solo far entrare le persone nell’edificio, ma creare un incontro fra dimenticanze. Da una parte  quella dei Novaresi per Casa Bossi, dall’altra quella di Casa Bossi per il resto del mondo. Vorrei creare l’incidente che permetta a queste due dimenticanze di guardarsi l’una nell’altra come dentro uno specchio e di contro dunque tornare a riconoscersi reciprocamente». (Gian Maria Tosatti)

Il progetto curatoriale sviluppato da Julia Draganovic e Alessandro Facente prevede una doppia lettura del lavoro nelle sue varie fasi. Facente, ha, infatti, seguito il lavoro dall’interno come un curatore embedded, un diarista, sponda critica interna al lavoro quotidiano che registra in soggettiva, mentre Draganovic dà una lettura dall’esterno dell’intero processo contestualizzandolo attraverso un’ottica panoramica.  La mostra si colloca non solo all’interno dell’attività internazionale di Gian Maria Tosatti, ma anche come punto focale delle numerose iniziative culturali che il Comune di Novara ha in programma per il 2012 ponendosi altresì come testimonianza diretta della volontà dell’Amministrazione di restituire Casa Bossi alla collettività.  “L’iniziativa, di livello assoluto, che viene proposta al vasto pubblico di appassionati di arte contemporanea” – conclude il sindaco di Novara Andrea Ballarè – “può essere considerata come un “segno”, che indica, incarnandola in un evento, l’opzione fondamentale per il mantenimento del bene quale patrimonio pubblico della città, valorizzando tutti i possibili apporti, pubblici e privati, istituzionali e spontanei, in grado di riconoscersi e operare in un luogo di straordinaria identità architettonica e culturale della città”.

a cura di Julia Draganovic e Alessandro Facente

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