Il ritratto ritrovato al CACT Centro dʼArte Contemporanea Ticino

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Il CACT Centro dʼArte Contemporanea Ticino inaugura il 7 agosto lʼesposizione collettiva Il ritratto ritrovato. Gli artisti sono stati selezionati per convergenze prettamente tematiche, anziché idiomatiche. Oltre gli sconvolgimenti socio-politici, che hanno dato allʼuomo e allʼartista nuovi stilemi e strumenti di pensiero, il ritratto è sicuramente uno dei temi più antichi e paradossalmente universali entro le diverse culture, proprio per la sua capacità di attraversare i secoli e rappresentare lʼuomo/lʼumanità nei diversi contesti e/o decorsi storici o sociali.

Da un punto di vista filosofico il ritratto non costituisce che la rappresentazione del soggetto ritratto da un artista; e pur avvicinandosi ad un reale, lʼopera dʼarte intende delineare per immagini lʼuniverso esistenziale/esistenzialista dellʼuomo. Da una prospettiva più analitica, invece, il ritratto (ri)disegna lʼinconscio soggettivo dello spettatore individuale o dello stesso autore attraverso la lettura psicologica della persona ritratta. I mezzi e i linguaggi impiegati dagli autori in mostra sono diversi: pittura, video, installazione, fotografia, figurazione e astrazione. Nellʼavvicinare il tema del ritratto, ci si può facilmente accorgere quanto ogni espressione, in arte, riconduca allʼartista e alla maniera autobiografica di rappresentare fondamentalmente il proprio io. Lʼautore intrattiene con il proprio modello (sia ritratto, che autoritratto od oggetto) un rapporto di compenetrazione psicologica tale da
svelarne le geografie interiori. Se il pittore americano Jon Campbell (USA-Germania,1982) fa trasparire delicatamente il rapporto sensuale chʼegli cerca con il proprio modello nei ritratti virili Dritan (2009) e Nic (2008), Francesca Guffanti (Italia,1962) presenta una tela, da una serie dedicate a Laura, dove la sua modella preferita è qui ritratta come prostituta; un doppio ritratto questo, in cui la modella stessa recita/assume volentieri un ruolo, mentre la pittrice ne rafforza la personalità interpretativa caricandola del suo personale approccio. Un toccante ritratto a sua madre è il video Mother (2010) che Mirko Aretini (Svizzera,1984) sviluppa sottoforma di diario filmato; una sorta di confessione-testimonianza delle velleità e fragilità di un essere umano (la madre) in bilico tra inconsapevolezza e contingenza. Se Martin Sulzer (Germania, 1977) realizza un autoritratto video, Vasaernap (2007), dove le modalità dʼuso del mezzo tecnico sono parte integrante del ritratto chʼegli fa di sé, ritracciando lo schema tematico della ʻdefinizione dʼidentitàʼ, il lavoro Silent storage (2010) girato a Catania di Veronica Tanzi (Svizzera, 1975) è una video- intervista silente ‒ solo visiva quindi ‒ a un personaggio del centro storico della città portuale siciliana. Trans-identità, ma non trans-sessualità, è il filo conduttore di questa nuova opera composta da più parti.

Perdizione del sé, depressione e morte sono i punti cardinali di Blustery (2008), autoritratto video che Pier Giorgio De Pinto (Svizzera, 1968) presenta per la prima volta al pubblico. Autobiografico, il lavoro è toccante per il pathos creato dallʼassenza come elemento di morte. Due ritratti del curatore dellʼesposizione sono le opere degli artisti Paolo Ravalico Scerri (Italia, 1965), Incantevole prigionia (2009) e M.L.C. (2010) di Fiorenza Bassetti (Svizzera). In più occasioni i due autori si sono concentrati sullʼidentità del rapporto artista- curatore.

Per Arvo Pärt (2006) è lʼinstallazione pittorica che Mauro Valsangiacomo (Svizzera, 1950) presenta per la prima volta al pubblico. Si tratta in qualche maniera di un ritratto che lʼartista svizzero fa del musicista estone attraverso lʼinterpretazione iconologica della sua musica. Come sempre nel caso di Valsangiacomo, il gesto non è mai meramente pittorico, quanto inequivocabilmente legato alle metamorfosi da gestualità in sublimazione di colore, e vibrazione dei pigmenti sulla tela.

Lʼinstallazione di Donato Amstutz (Svizzera-Francia, 1969) è una riflessione sullʼuomo, sul maschile in una società post-tecnologica ambigua e in bilico tra assestamenti epocali, ruoli e fragilità esistenziali. Se Alina Mnatsakanian (Armenia, 1958), armena della diaspora, fa partire le sue astrazioni dal legame fortemente calligrafico con la sua terra attraverso la lingua armena, Andrea La Rocca (Italia, 1983) illustra, in equilibrio tra racconto e fiaba, le sue ossessioni.
Massimo Vitangeli (Italia, 1950) presenta un nuovo video titolato Où sommes-nous? (2010). Scandito dalla canzone Je ne regrette rien (1956), interpretata qui da Edith Piaf in tre momenti diversi della sua vita, il video affronta il tema del ricordo, della nostalgia, del piacere sensuale del ricordo nellʼatto presente di riconfigurare lʼidentità. È un ritratto che svela un processo analitico, quello di Vitangeli, che anticipa la sua mostra personale dal titolo evocatore Ermafrodito e la filosofia del transito, ovvero la sessualità abdicata, prevista per ottobre 2010.

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