Ancora scopiazzature da Gagosian New York, questa volta le fa Bob Dylan

di Redazione Commenta

I nostri lettori sanno bene che noi di Globartmag non siamo molto concordi nel definire grandi artisti quei celebri nomi dello star system che decidono di allargare i propri interessi all’arte visiva. Spesso, Sylvester Stallone e compagnia cantante, buttandosi nel vasto mondo dell’arte contemporanea hanno combinato danni irreparabili, per non parlare poi degli effetti collaterali occorsi ai poveri visitatori che hanno avuto il coraggio di ammirare opere più che improponibili.

Parlando di simboli del nostro secolo, il buon vecchio Bob Dylan ha da diverso tempo scoperto di aver talento per la pittura. Ora non stiamo qui a criticare il Dylan cantante, che amiamo ed apprezziamo, ma sul Dylan pittore avremmo qualche riserva. Comunque sia, dato che il celebre poeta della canzone è un nome pluriconosciuto e pluriamato, il buon Gagosian non poteva certo non fiutare l’affare ed ha quindi organizzato una bella personale (dal 20 settembre al 22 ottobre) nella sua sede di Madison Avenue a New York. La mostra dal titolo The Asia Series, almeno a quanto scritto da Gagosian sul suo sito web, è il risultato: “dei numerosi viaggi in Giappone, Cina, Corea e Vietnam compiuti da Dylan che ha incontrato in oriente scene rurali, architetture e persone che lo hanno colpito”. Il fatto è che Dylan avrà pure viaggiato ma lo ha fatto solo su internet visto che sei dipinti presenti in mostra sono l’esatta trasposizione pittorica di altrettante immagini cannibalizzate dalla pagina Flickr dell’utente Okinawa Soba. Ma il bello deve ancora venire, visto che le foto copiate dal cantante sono in realtà di proprietà della celebre agenzia Magnum Photos.

Insomma dopo la mostra di Richard Prince, con opere cannibalizzate direttamente dalle fotografie di Patrick Cariou (con tanto di sentenza ai danni di Prince), Gagosian ha messo in piedi l’ennesima mostra con opere di dubbia provenienza. Non stiamo di certo accusando nessuno ma il problema fondamentale è che in tutti questi balletti a perderci è l’arte stessa, martoriata da artisti o presunti tali che non creano ma duplicano.

 

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