Giovedì Difesa: Unità d’Italia

di Redazione Commenta

Un amico, che è entusiasta di spettacoli popolari di varietà, mi parla di una compagnia che agisce in un piccolo cinema di Trastevere. Capitiamo che la rivista è già cominciata e, naturalmente, si sta svolgendo il numero dei Due Grandi. È un numero che non manca mai. Russia e America sono di scena con Pulcinella, servo furbo di due padroni. Lo sketch, più che materia di divertimento, offre la solita materia di riflessioni e usciamo dal cinema alla fine molto rattristati. Più di me il mio amico, il quale deve accorgersi che, nel frattempo, gli hanno rubato la ruota di scorta dell’automobile. Quel furto è tuttavia un seguito dello sketch o almeno aderisce al suo spirito. Cerco di farlo capire al mio amico. Ma penso che egli sia troppo irritato dal furto per consolarsi con una divagazione filosofica sul “nostro” carattere.

Uno dei punti sul quale l’ignoto autore dello sketch ha insistito è infatti la capacità che noi abbiamo di “far fesso” il prossimo; capacità che l’autore definisce: intelligenza. Pulcinella, per esempio, si vanta di aver spogliato l’Americano, di avergli fatto sparire persino un piroscafo. A questo accenno di una storiella napoletana che circolò ai tempi del mercato nero, il pubblico è scoppiato in applausi. Sul palcoscenico invece il Russo, pur congratulandosi con Pulcinella per la sua furberia, lo ammonisce severamente facendogli balenare l’eventualità di un suo prossimo viaggio in Italia. “Con me,” dice il Russo “con me non si scherza, caro Pulcinelloff!”. Pulcinella lo guarda con aria di sorridente pietà, ammicca al pubblico e gli risponde: “Ma lei è mai stato qui?” più volte, mimando: “Ma lei è mai stato qui?”. Intende: in Italia. E quando il Cosacco risponde che non c’era mai stato, Pulcinella spara la battuta di riserva: “E allora venga e poi vedrà!” Un uragano di applausi copre la battuta del Russo che, del resto, non deve essere molto importante.

L’applauso del pubblico ci ha portati per un secondo a sentire un certo bieco orgoglio per questa nostra capacità di ridere dei difetti nazionali. Senonché il pubblico e prima di lui l’autore e gli attori dello sketch non pensano affatto che si possa parlare di difetto, ma anzi di una virtù antica, assodata, eterna. Una di quelle virtù che basta persino ad appianare le divergenze politiche tra due rivali che si trovano entrambi a possederla. Una virtù, tanto per capirci, che dava in quel momento allo spettatore la sottile e invincibile certezza di essere al di sopra di ogni critica e sospetto, oltre la mischia. (1953)

(Ennio Flaiano “Il Mondo” 8 gennaio 1957. Su La solitudine del Satiro, Adelphi pag 71.)

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