130 artisti contro il Guggenheim di Abu Dhabi

di Redazione Commenta

Ad Abu Dhabi non è sempre tutto rose e fiori come non sempre i soldi riescono a comprare tutto. Come ben saprete, da diverso tempo la capitale degli Emirati Arabi è concentrata sulla realizzazione del nuovo Guggenheim progettato dal celebre archistar Frank Gehry. L’opulente struttura da 800 milioni di dollari (alla faccia della crisi globale), mira e divenire un vero e proprio punto di riferimento culturale del medio oriente ma come accennato poche righe fa, questo sfarzo e questa cultura hanno già acceso alcune proteste da parte della comunità artistica internazionale.

Sono 130 infatti gli artisti che boicotteranno il museo, mettendo in discussione sin da oggi la futura collezione permanente di un istituzione ancora in costruzione. Tra i partecipanti al boicottaggio svettano nomi assai prominenti quali Harun Farocki, Mona Hatoum, Emily Jacir, Shirin Neshat, Monica Bonvicini, Tania Bruguera, Matt Mullican, Thomas Hirschhorn, Alfredo Jaar, Rikrit Tiravanija, Hans Haacke e tantissimi altri ancora. Il perché di questa ferma opposizione con tanto di petizione è presto detto, la protesta riguarda le pietose condizioni di lavoro degli operai locali che attualmente si trovano impegnati nell’edificazione dell’imponente struttura. Il gruppo di artisti ha infatti esposto tali problematiche all’interno di un comunicato dove è possibile leggere: “Agli artisti non dovrebbe esser chiesto di esporre in musei costruiti sulle spalle di lavoratori sfruttati. Chi lavora con calce e mattoni dovrebbe avere gli stessi diritti di chi lavora con pennelli e macchina fotografica o quanto altro”.

Gli sfruttamenti dei lavoratori del Guggenheim di Abu Dhabi sono stati resi noti nel 2009 dalla Human Rights Watch e l’indagine ha rilevato, tra le altre cose, delle retribuzioni da fame corrisposte agli operai. I vertici del Guggenheim e le istituzioni degli Emirati Arabi hanno però opposto una ferma difesa, affermando che in questi ultimi tempi si è lavorato per centrare tutti gli standard dei diritti umani internazionali e che quindi i lavoratori sono ben trattati e ben pagati. A noi queste sembrano solo scuse ed è chiaro che qualcosa di poco chiaro sta succedendo in quel di Abu Dhabi, altrimenti il gruppo di 130 artisti non avrebbe sollevato un tale vespaio di polemiche.

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