Non leggete i magazines d’arte! (evitate anche questo)

di Redazione Commenta

Quando ero piccola esisteva (ed esiste ancora) un giornalino chiamato Corriere Laziale dove i maschietti di famiglia erano soliti leggere le loro eroiche imprese calcistiche. Già perché il suddetto periodico seguiva da vicino lo sport amatoriale citando i nomi dei giocatori presenti nelle varie leghe regionali. La maggior parte dei lettori di questo beneamato Corriere erano appunto i giocatori o i parenti degli stessi, felici di vedere un nome in terza pagina o se andava di lusso un piccolo articoletto con foto. Una gloria effimera che, nella maggior parte dei casi, restava in ambito casalingo senza mai raggiungere le vette sognate del professionismo, un sogno a buon mercato che non ha mai fatto male a nessuno. Ecco i magazine d’arte nazionale, in questi ultimi periodi, rassomigliano molto al Corriere Laziale. Anche questi periodici sono soliti sciorinare nomi degli artisti e delle gallerie locali, cantando di epiche gesta e di fantastici eroi. Il taglio giornalistico teso ad osannare il dilettantismo locale ha sortito un effetto del tutto simile ad un giornalino d’informazione locale, vale a dire quello di formare uno zoccolo duro di lettori che sono in realtà gli addetti ai lavori i quali seguono assiduamente le loro medesime attività. Tra le pagine di questi magazines gli artisti locali diventano grandi artisti internazionali, le gallerie di paese si trasformano in realtà di mercato potenti e spregiudicate, i curatori di mostre fotografiche in parrocchia si fanno radere la barba da Harald Szeemann. Ovviamente tutte queste favolette ce le raccontiamo tra di noi, queste alterazioni della realtà che di fatto potrebbero essere delle vere e proprie performance. Sono le nostre speranze ad alimentare le pagine di questi magazines ma se i giornalini locali regalavano speranze innocue, nella scena dell’arte contemporanea alimentare inutili speranze significa rovinare un sistema ed anche le persone che lo alimentano. L’artista dilettante abbandona il suo lavoro sperando di poter campar d’arte, il piccolo gallerista di paese si mette a spendere tutto quello che ha in fiere internazionali dove viene divorato dagli squali, il curatore locale spende tutti i soldi dei genitori in residenze che non lo porteranno mai a nulla. Questo processo distruttivo è inarrestabile e finché i nostri magazines continueranno ad alimentarlo il nostro indotto dell’arte non migliorerà. Del resto, come diceva Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia: « È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente! »

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