Ashley Bickerton Alla Cardi Black Box di Milano

di Redazione Commenta

Ho sempre amato la pittura, la fotografia e la scultura come tecniche utilizzate separatamente nel lavoro di altri artisti. Tuttavia, personalmente, credo che esse siano “problematiche” come forme individuali d’espressione: infatti, è solo nel loro utilizzo congiunto che riesco a sentirmi veramente a mio agio. La pittura mi è sempre sembrata troppo “cartonata”, la fotografia un po’ troppo fredda, e la scultura…Diciamo che non mi sono mai sentito troppo a mio agio nello spazio tridimensionale.

Nei lavori dei primi anni dipingevo direttamente sui miei modelli, sui loro vestiti ed accessori; successivamente li fotografavo in una serie di primi piani, da “cucire” insieme dopo essere stati “cubificati” attraverso Photoshop. Ciò che ne risultava veniva poi stampato su tela e quindi intervenivo con la pittura. Con il passare del tempo la pittura e lo strato di colore e trucco applicato sui miei modelli è diventato più spesso e più brutale, gli accessori e gli ornamenti sempre più irreali. L’effetto complessivo è una sorta di imitazione di un’impetuosa ed emozionale assenza di pittura. Alla fine però, tutto questo è tenuto insieme dall’occhio freddo della fotografia. Fin dagli inizi della carriera il mio lavoro ha sempre voluto sondare, in maniera indiretta, l’idea di cosa fosse un dipinto. Anche i primissimi lavori, della fine degli anni ‘80, con i loghi e i registratori di cassa elettronici erano rivolti alla pittura, mai alla scultura. Molte delle mie migliori idee negli ultimi anni sono nate osservando il lavoro di alcuni grandi artisti o di altri che mi hanno particolarmente colpito e hanno fatto scaturire in me il desiderio di fare la stessa cosa. I lavori con il logo erano un tentativo di ricreare gli autoritratti di Van Gogh utilizzando tuttavia un linguaggio alieno e postmoderno. Più tardi, nel 2004, ho proposto il motivo di Kiefer in una serie di paesaggi e nel 2008 ho volto l’attenzione all’elefante nella mia isola-studio, avvicinandomi così al lavoro di Paul Gauguin. La serie ispirata dall’opera di Gauguin se da un lato era in tutti i sensi una parodia del significato del dipinto, dall’altro tentava di far esistere i lavori stessi come opere distinte e con un proprio linguaggio.

Con questi nuovi lavori, appositamente preparati per la mostra presso la galleria Cardi Black Box (dal 5 giugno al 27 luglio 2012), ho iniziato a guardare nello stesso modo, e nel dettaglio, le donne di De Kooning. Ancora una volta ho voluto riproporle, cavalcando quel sottile confine tra l’ironia tipica dei cartoni animati e la “pittura pura”, a mala pena controllata emotivamente. Questo mi ha portato a decidere di liberarmi di tutti i modelli umani. Infatti, costruendo autonomamante il mio soggetto fotografico, potevo condurre l’immagine fotografata ancora più lontano dalla realtà riconoscibile, ponendo in relazione e facendo dialogare in modo più profondo pittura e fotografia. Ho quindi iniziato a dipingere tali modelli in maniera molto differente, mentre in passato le immagini digitali erano integralmente ridipinte, centimetro per centimetro, utilizzando un sottile strato di pittura per creare un effetto tipo “trompe l’oeil” visivamente armonioso.

Questa nuova pittura, che filtra nelle fotografie, è invece ridipinta con un intento del tutto differente: viene applicata solo su alcune parti lasciando la maggior parte della foto visibile, e forzando così un dialogo ottico discordante tra l’originale pittura densa, che cola, e la riproduzione della stessa. Tutte le opere della serie “The Women” ricordano intenzionalmente, e provocatoriamente, le fotografie da passaporto. Esse differiscono soltanto per il colore di sfondo utilizzato e per la forma della bocca di ciascuna. Ho deciso di realizzarle con delle variazioni minime, ma la costruzione di ognuna è veloce ed emozionante; ciò che ne risulta è il modo sorprendente in cui tutte le donne fissano lo sguardo sull’osservatore con allegria, ognuna con un proprio carattere distintivo”.

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