Angelo Bellobono / Vania Comoretti – Vis-à-vis

di Redazione Commenta

Si tiene il giorno 8 aprile 2011 presso whitelabs di Milano l’opening della doppia personale Vis-à-vis. Angelo Bellobono. About Freedom & Vania Comoretti. Iride a cura di Nicola Davide Angerame. Il progetto con il quale whitelabs espone per la prima volta in una personale a Milano il lavoro dell’artista romano Angelo Bellobono e dell’artista udinese Vania Comoretti, vincitrice della Prima edizione del Premio Saatchi Showdown (Londra, Inghilterra), in una mostra che accoglie lavori inediti creati appositamente per questo evento e che fanno parte di due serie di ricerca portate avanti dai due artisti.

Vis-à-vis è un progetto che nasce con questa doppia personale, creato dal critico Nicola Davide Angerame, che lo descrive così: “L’idea di mettere due artisti faccia a faccia, mi è venuta da una impressione forte che lo spazio di whitelabs mi ha suscitato. Ci sono due pareti lunghe oltre 14 metri che si fronteggiano a cinque metri di distanza. Soffitto basso. Pochi spazi sono così. Ci sono le sale, i saloni, gli hangar, le salette, ma questo “muro contro muro” lo vedo solo qui. Allora perché non sfruttarlo per mettere in dialogo ravvicinato i lavori di artisti che non hanno mai esposto a Milano e che possono qui trovare un luogo di confronto e di conforto. Presenteremo artisti che si amano e che si odiano, i cui lavori sono in sintonia oppure stridono. L’armonia è importante almeno quanto la distonia”.
Angelo Bellobono
About freedom

“Un’analisi del termine libertà ed una serie di riflessioni sul suo stato attuale, presunto o reale, mi hanno condotto a John Stuart Mills e al suo saggio On Liberty – spiega Bellobono -. Se è vero che nasciamo biologicamente uguali ad ogni latitudine è anche vero che diventiamo presto molto diversi e non sempre liberi di realizzare un identità umana valida e un identità sociale adeguata”.

Bellobono – scrive Nicola Davide Angerame – parte da una considerazione sociale e antropologica di quella che è una prerogativa specifica dell’uomo: il suo essere libero, di possedere la capacità di discernimento e di scelta. Padrone delle proprie azioni. I fatti di questi ultimi mesi, che parlano di rivoluzioni, pare alimentate dai social network, in zone fino ad oggi credute stabili, come la Tunisia e l’Egitto, fanno penare che la galleria di Bellobono non sia soltanto una prova di ritrattistica del tempo presente ma anche una sorta di fissazione nell’eternità della pittura di un valore tanto astratto quanto primitivo, che in alcuni tipi psicologici (direbbe Jung) può diventare una sensazione carnale. Bellobono dimostra di possedere tale sensazione e la traduce in una pittura anarchica e raffinata, espressiva e aulica. Il suo Obama, nudo come tutti i personaggi, riporta la nostra attenzione non al ruolo sociale ma alla semplice presenza fisionomica di un uomo che nella “pittura egualitaria” di Bellobono può sostituirsi al volto anonimo di uno qualsiasi dei Migrator, del Bangladesh come dell’Albania, con cui Bellobono ha lavorato in passato e che rappresentano per lui il senso di un paradosso: l’ineguaglianza sociale delle persone. Senza Fare del veterocomunismo, propendendo più per un’anarchia etico-estetica, Bellobono progetta la sua galleria per “illustrare” la tesi di fondo del romanzo che ispira questa serie: abbiamo tutti uguali diritti, o almeno dovremmo averne.

Ritratti in mostra: Putin, Baburova, Assange, Stuart Mills, Obama, Aung San Suu Kyi, diversi migranti anonimi. Capo d’opera è il ritratto del primo Uomo Europeo, risalente a 35.000 anni fa, migrato dall’Africa negli attuali territori della Romania. “Noi europei siamo stati razzisti e classisti, ma in realtà discendiamo non soltanto dagli africani ma anche dai rumeni. È l’ironia della Storia, che mi piace porre in evidenza” dice divertito Angelo Bellobono.

Vania Comoretti
Iride

Nel suo nuovo progetto Iride, Vania Comoretti analizza la parte dell’occhio che più di tutte vanta una letteratura scientifica, filosofica, esoterica, di grande importanza. Nella sua ricerca, Comoretti attraversa le considerazioni che dell’iride vengono esposte dalla mitologia greca fino ad arrivare alle aberranti misurazioni antropometriche operate dal nazismo con i suoi terribili esperimenti, passando per l’illuminista Voltaire. Ma è soltanto una prefazione, un viaggio culturale dentro un mondo che affascina l’artista per motivi personali, formali, etici ed estetici.

L’interesse di Comoretti per la piccolissima porzione del corpo che è l’iride nasce da una vicenda personale che viene fatta immediatamente slittare verso un quadro più ampio volto a rendere visibili alcuni legami (di sangue e genetici) che si perpetuano attraverso questa quasi invisibile eppure fondamentale parte dell’occhio. L’iride si perpetua all’interno delle generazioni di una stessa famiglia. Per Comoretti essa identifica “il luogo di appartenenza delle persone”. I ritratti sono occhi che forniscono sguardi, che le opere restituiscono allo spettatore, in un gioco di “mise en abime” per cui l’opera guarda colui che la guarda, delineando così un vis-à-vis tra opera e fruitore che è anche il tema portante di questa prima doppia personale proposta appunto come un incontro ed un confronto tra due artisti per molti versi lontani eppure anche vicini nell’interesse per gli aspetti umani, sociali ed antropologici che alimentano la loro ricerca. “Dell’iride – sostiene Comoretti – m’interessa anche il suo rapporto con le linee della pelle che la contengono, come se la possibilità di contenimento e di apertura delle palpebre restituissero il passaggio tra l’individuo e l’esterno”. In questo modo l’iride diviene il centro di un incontro con l’universo, diviene il centro della vista e dello sguardo sulle cose. Attraverso il ritratto dell’iride l’artista riporta l’attenzione al grado zero dell’arte, a quella condizione di possibilità del vedere che è l’organo della vista al quale tanta scienza e tanta filosofia del passato hanno dedicato attenzione, ritenendo l’occhio uno degli organi preponderanti per la conoscenza e la speculazione.

Nel trittico After Comoretti ritrae l’iride dei familiari, poi quella di amici e persone che hanno un legame con lei e tra loro. In questo modo l’artista traccia una sorta di sguardo collettivo, portandoci nelle profondità di un’anima, il cui specchio appunto è l’organo della vista. Passando dal ritratto del volto a quello dell’iride delle persone che ruotano attorno al proprio universo intimo, Comoretti utilizza un procedimento di ingrandimento e di focalizzazione del dettaglio, portando in luce il particolare per studiarne il colore, la luce, la brillantezza, la tessitura biologica. Così facendo Comoretti usa l’idea dello “studio” antico, dello schizzo preparatore, che nel disegno antico accoglieva su uno stesso foglio varie pose del capo e dettagli espressivi. E così facendo traccia una bio-logia, una logica del bios, del corpo organico che nella sua configurazione può diventare scrittura, geroglifico, perfino simbolo. Molta filosofia contemporanea ha sostenuto una rivalutazione del corpo nei confronti dell’anima, ribaltando la logica meccanicistica che la modernità aveva ricavato da Cartesio, per avvalorare la tesi di un corpo che è anche anima e di un’anima che è anche corpo, ovvero di una non separabilità tra quella scrittura fisica e organica che è il nostro corpo e quel principio ordinatore che detta le regole di tale scrittura, qual è l’anima.
Il lavoro di Comoretti è alimentato da una profonda intenzione analitica, dalla volontà di rappresentare la forza e il senso di una “mappatura” dei corpi che in questa nuova occasione espositiva si basa sulla ricerca di un progetto che nasce dalla constatazione che il “personale è reale”. In un’epoca di comunicazione generalizzata, tornare sul disegno tracciando un nuovo territorio geografico d’appartenenza attraverso l’uso di una mappatura delle persone più prossime all’artista, significa scardinare dall’interno, dal basso di un’arte che cerca il sublime nelle pieghe nascoste di un corpo, un sistema abituato a pensare sempre più in termini generali, globali, mondiali. Nel mondo macro, reso tale dalla globalizzazione del nostro stesso modo di essere nel mondo, Comoretti rappresenta l’istanza ancora vivente e vitale del mondo micro, fatto di sensazioni tattili, di sguardi unici e irripetibili, di cui il progetto Iride rappresenta un tentativo di esaltazione, profondamente conturbante.

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