Anche nelle Filippine si censura l’arte contemporanea

di Redazione Commenta

Se pensate che scandali e scandaletti legati ad arte contemporanea e religione siano una questione prettamente italiana, possiamo senza ombra di dubbio affermare che vi state sbagliando di grosso. Già perché le sommosse tipo “non vogliamo la rana crocefissa di Martin Kippenberger” sono divenute una vera e propria moda in tutto il globo.

L’ultima vicenda in ordine di tempo riguarda la lontana Manila, nelle Filippine. Lo scorso 9 agosto il CCP, Cultural Center of the Philippines ha inaugurato una mostra dal titolo Kulo, che qui in Italia potrebbe suonare un poco sibillino. Assonanze a parte, la mostra è stata immediatamente chiusa perché ritenuta sacrilega e blasfema. Il CCP non ha spiegato la vera natura di questa subitanea chiusura ma alcune voci di corridoio hanno dichiarato che la censura è giunta dopo numerose minacce da parte della cittadinanza e numerose pressioni degli ambienti ecclesiastici. Pietra dello scandalo è una scultura di Mideo Cruz che raffigura un Cristo aureo corredato da un naso da clown ed un bel paio di orecchie alla Mickey Mouse decorate con il logo della Coca-Cola, una sorta di mix tra religione e capitalismo che ha fatto infuriare la popolazione, per l’85 percento di religione cristiana. Secondo la stampa locale la mostra sarebbe stata chiusa per paura di perdere cospicui finanziamenti: “Alla mostra al CCP era presente una rappresentazione di Cristo inaccettabile e l’istituzione è sovvenzionata da fondi pubblici. Il CCP dovrebbe essere un servizio offerto al pubblico e non un insulto al credo religioso della maggior parte del popolo, qui non vedo nessun tipo di servizio al cittadino” hanno dichiarato alcuni esponenti della chiesa locale.

La presidenza del CCP si è detta rammaricata della tremenda decisione ma secondo il nostro modesto parere questo ulteriore episodio di oscurantismo religioso somiglia troppo al disastro perpetrato dai vertici dello Smithsonian National Portrait Gallery di Washington D.C. ai danni di David Wojnarowicz.

 

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