Pablo Rubio – L’identità frammentata

Il 15 ottobre la galleria Ingresso Pericoloso di Roma inaugura la mostra L’identità frammentata di Pablo Rubio a cura di Angel Moya Garcia. Il lavoro dell’artista spagnolo (Cordoba, Spagna, 1974) si focalizza sulla rielaborazione dei ricordi e della memoria latente, per preservare un’identità che trema ogni giorno per l’imminente minaccia della sua scomparsa. Così, immerso in una dialettica dello spazio e del vissuto personale, costruisce testimonianze appena abbozzate, come malinconiche presenze nella nebbia, che si sovrappongono e si riproducono in ritmi reiteranti.

In quest’ottica, “L’identità frammentata” si sviluppa come una riflessione sulla graduale decostruzione della soggettività, e di conseguenza dell’identità, provocata dalla storiografia filosofica dell’ultimo secolo. Dall’ermeneutica tedesca passando per la frammentazione foucaultiana fino ad arrivare al pensiero debole italiano, l’individuo si è trovato a con-vivere all’interno di una collettività senza membri singoli. Una comunità che nasconde, cela o vieta qualunque proposta individuale e in cui il soggetto viene ridotto al mero rapporto con gli altri senza mai avere un’autonomia e un’ontologia propria.

Lara Mezzapelle e Giacomo Deriu – Pachinko

In una realtà così “liquida”, come l’ha definita lo stesso Zygmunt Bauman, sembra aver preso il sopravvento nella nostra società un forte sentimento di illusione ed attesa dovuti alla mancanza di veri e propri punti di riferimento reali in qualsiasi campo o settore. I meccanismi che regolano la società contemporanea, sia che essi siano economici, politici o culturali, son divenuti alla moltitudine talmente complessi e incomprensibili tanto da causare un forte atteggiamento di fatalismo.

Tutto questo comprime le individualità rendendole quasi incapaci di prendere decisioni importanti, privandole della possibilità di agire a favore di una costruzione futura per finire col costringerle ad un sempre più rintanamento in se stesse e nelle proprie illusioni. La scelta consapevole di fronte ad un bivio, necessaria a governare il corso del proprio destino, è sempre più ardua da afferrare. Vuoi proprio per la dilatazione spazio-temporale percepita, vuoi per una sempre più difficile comprensione del momento storico in cui la quantità di informazione che giornalmente ci raggiunge ha una velocità così elevata tanto da essere di difficile decodificazione immediata.

La lunga e minuziosa ricerca sul suono nel silenzio di Emilano Zelada

Nella vita dell’individuo esistono sostanzialmente due tipi di silenzio: il silenzio passivo, inteso come assenza di attività, ed un silenzio attivo, inteso come comportamento cognitivo consapevolmente orientato alla comprensione ed acquisizione di informazioni. Lo stesso dualismo si riscontra tra il silenzio dell’arte e il silenzio nell’arte. Nel primo caso, l’artista, rinunciando al suo ruolo di demiurgo, piomba in un silenzio che riflette solo la propria crisi di identità, perdendo la relazione con il contesto; nel secondo, accettando la propria responsabilità, si inserisce in un entourage più articolato per modificarlo, criticarlo, distruggerlo o ricostruirlo, delineando attraverso il silenzio un punto di inflessione nel proprio essere.

La responsabilità assunta dall’artista/compositore Emiliano Zelada (Roma, 1979. Vive e lavora a Barcellona) si manifesta attraverso Silent Collapse mostra a cura di Angel Moya Garcia che si terrà a partire dal 12 febbraio presso la galleria Ingresso Pericoloso di Roma. La mostra viene sviluppata attraverso tre ambientazioni, lontane dalla nostra abituale percezione, che costituiscono tuttavia parte ineludibile della quotidianità. Portando all’attenzione frequenze inudibili e suoni impercettibili alla sensibilità umana, i lavori si caratterizzano da una lunga e minuziosa ricerca sul suono nel silenzio, eseguita attraverso il rumore e la saturazione.

A Roma si respirano Venti di Libertà

Venerdì 20 Novembre 2009 si inaugurerà la mostra Across, progetto espositivo ideato dalla galleria Ingresso Pericoloso di Roma con il patrocinio dell’ Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma, invitando gli artisti Gavino Ganau, Silvia Giambrone, Ernesto Morales, Roberto Pinetti, Pablo Rubio, Chiara Scarfò, Alessandro Vicario ed Emiliano Zelada a riflettere sull’insieme dei significati storici, culturali e concettuali del Muro di Berlino a distanza di 20 anni dalla sua caduta.

La definizione di una semplice linea, tracciata fisicamente o simbolicamente, retta o curva, nitida o nebulosa, frammentata o infinita, caratterizza gran parte della nostra storia recente. Delimitando un confine non solo si può stabilire una differenza, una separazione o un contrasto di qualunque natura, ma diventa anche facile inserire una polarità che diviene gradualmente insita nell’immaginario collettivo, istigando a cadere in un dualismo che vieta, cela o nasconde una comprensione più articolata della realtà.

Faceback dietro il profilo c’è Giuseppe Rado

Ingresso Pericoloso, giovane galleria romana diretta da Massimo Rosa, inaugura il 14 maggio la mostra Faceback, personale di Giuseppe Rado. L’artista bolognese spazia dalla pittura al cinema, dalla fotografia alla performance fino alla fotografia alla manipolazione iconografica. Nel 2005 vince la targa d’oro per la fotografia al Premio Arte e nel 2007 vince il Premio Fabbri per l’arte contemporanea sempre nella sezione fotografia.

Giuseppe Rado, da tempo studioso appassionato dei risvolti sociali legati al progresso tecnologico della nostra civiltà (ricordiamo la mostra personale AIKO del febbraio 2008 che rifletteva su tematiche come l’intelligenza artificiale e la singolarità tecnologica), si inserisce in questo contesto con il work in progress Faceback – dietro il profilo.