
Rilancio questa interessante proposta di Luca Rossi che potrete trovare al seguente link:
Chiunque può scrivere la propria idea a [email protected]

Rilancio questa interessante proposta di Luca Rossi che potrete trovare al seguente link:
Chiunque può scrivere la propria idea a [email protected]


Ne abbiamo parlato diverse volte ed abbiamo più volte discusso questo bizzarro fenomeno assieme a Luca Rossi. Stiamo parlando dell’Ikea Art, vale a dire una fantomatica corrente non-scritta e non-teorizzata che sembra però mietere molte vittime tra le nuove generazioni creative di tutto il mondo. L’Ikea Art è una vera e propria sindrome che spinge il giovane artista a replicare comportamenti e stilemi propri della celebre catena di mobili made in Sweden.
Ecco quindi che l’artista emergente trae le sue forme, le sue manifestazioni estetiche e persino i colori da quel mobilio a basso costo ma dal gusto minimal che ormai tutti abbiamo dentro le nostre case. Scommettiamo che anche voi avete nella vostra abitazione almeno un mobiletto o un complemento d’arredo firmato Ikea. All’epoca, quando lanciammo queste discussioni con Luca Rossi, furono in molti a scriverci dell’inconsistenza dei nostri ragionamenti.

Luca Rossi: Recentemente ho letto un tuo articolo relativo alla situazione del sistema italiano dell’arte contemporanea. Parlo di sistema per identificare: istituzioni, artisti, riviste, nuove riviste, gallerie giovani international, gallerie italiane, gallerie che ci provano, gallerie storiche, musei, fondazioni, artisti che inviano application, artisti che girano per mercatini alla ricerca di libri e foto usate, opening con apertitivi e relazioni tra l’amichevole e l’interessato, associazioni no profit, spazi no profit, tanti spazi, tante opere, tanti progetti, assegnazione di studi d’artista, scuole d’arte, istituti d’arte, accademie con vecchi programmi, programmi di formazione, collegamenti tra curatori italiani e curatori esteri, acquisizioni di opere che sono passate in biennale, premi, premi ogni giorno, residenze all’estero, residenza in italia, workshop e mostre collettive, assenza di un pubblico vero, critici poco critici ma molto artisti, fanzine giovanilistiche come Mousse e Kaleidoscope che sono più che altro progetti artistici più attenti al contenitore che al contenuto, Flash Art, Exibart, i commenti di Exibart, collegamenti tra scuole e istituzioni.
Tutto questo pensando che il giovane operatore di oggi sarà l’operatore professionista di domani. Tutto questo avendo ben chiaro che l’italia ha un ruolo marginale rispetto al sistema internazionale, ma che può essere considerata una caso di studio unico al mondo per via di alcune congiunture e specificità culturali, politiche e sociali. “Toccare il fondo” potrebbe e dovrebbe essere propulsivo per la definizione di giovane artista che ci piace di più. Non godere di economie forti rispetto Inghilterra, Germania, Svizzera o Stati Uniti può diventare un elemento propulsivo sul piano del linguaggio. Esattamente come potrebbe essere utile non avere istituzioni troppo strutturate e rigide, sempre rispetto la definizione che ci piace di più di arte contemporanea. In fondo quest’ Italia costringe ad una messa in discussione quotidiana, e questo può essere utile per tutti; anzi forse dovrebbe essere una principio cardine del contemporaneo. Io credo che in questa fase storica l’Italia sia, nel bene e nel male, estremamente contemporanea. Cosa ne pensi?

Abbiamo più volte espresso le nostre opinioni (discutendone anche con il celebre blogger Luca Rossi) sull’Ikea Art, ovvero sulla creatività uniformata che in questi anni sembra spadroneggiare in tutto il mondo. I nuovi artisti modello Ikea creano le loro opere ispirandosi ad un minimalismo concettuale che strizza pericolosamente l’occhio al design svedese. In tutto ciò ovviamente ogni appiglio filosofico diviene puramente pretestuoso e l’opera diviene sempre più simile ad un oggetto di consumo o ad un semplice complemento d’arredo. E se questa fosse la nuova forma creativa del 2000? così ferocemente presi dall’impeto critico non avevamo pensato a tale eventualità, magari fra uno sbadiglio e l’altro l’Ikea Art potrebbe anche nascondere il suo fascino e segnare l’inizio di una nuova corrente artistica. L’identita seriale dell’Ikea Art o dell’arte facilmente riproducibile in genere potrebbe però nascondere molte insidie legate all’unicità dell’opera.
Negli ultimi tempi molti siti web vendono stampe di celebri artisti contemporanei con prezzi alla portata di tutti, proprio come se si trattasse di quelle cornici già dotate di foto che la nota azienda svedese di mobili mette in vendita all’interno di tutti i suoi megastore. La domanda che vi vorremmo porre è quindi questa: Può l’esistenza di migliaia di copie rendere l’opera un semplice oggetto senza valore? La risposta è probabilmente si, anche se stiamo parlando di repliche ovviamente non siglate dall’artista in persona, non autenticate, ma cosa succederebbe se fosse possibile ricreare l’opera originale?

Micol Di Veroli e Luca Rossi presentano un’intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche, senza troppi convenevoli. Un confronto attivo mirato a chiarire posizioni e cercare nuove soluzioni qualora ce ne fossero.
MDV – Mi trovo in sintonia con molte delle tue dichiarazioni presenti sul blog Whitehouse ed è tristemente vero che le nostre giovani leve sono ormai simili a replicanti di altri artisti del panorama internazionale. Nel peggiore dei casi la nostra giovane arte si ritrova a produrre formazioni estetiche stile Ikea prive di ogni significato, nell’assurda e vana ricerca di un ermetismo che confonda le acque, sperando che lo spettatore non riesca ad agganciare un qualche riferimento colto del tutto inesistente. Io trovo che il vero problema risieda nella mancanza di documentazione e di studio, tu cosa ne pensi?
LR – Mancanza di studio, ma anche malafede più o meno consapevole. O consapevolezza di non poter/voler fare altro nella vita che un lavoro (apparentemente) eccitante e comodo come quello del “giovane artista”. Inoltre in italia viene vissuto un complesso di inferiorità sull’essere italiani. Questo favorisce una certa esterofilia e il mantenimento di un profilo basso, silenzioso e colto. Quindi assenza di un confronto critico, perchè sia ha sempre paura di essere i soliti italiani “bar sport” e polemici. Questo porta problemi di relativismo dove “tutto può andare” ed essere accettato e giustificabile. In fondo l’arte contemporanea viene vista (da alcuni) come materia “hobbistica”. Queste dinamiche portano risultati mediocri; nel migliore dei casi buoni standard sviluppati come “compie sbiadite” di quello che avviene sulla scena internazionale.