Il remix, la nuova moda dell’arte

La battaglia legale che ha visto come protagonisti il fotografo Patrick Cariou e l’artista Richard Prince, colpevole di avergli soffiato alcune immagini della serie Canal Zone, ha tenuto banco per tutta la durata dello scorso anno. Anzi a dirla tutta la quaestio è divenuta un vero e proprio caso di studio, tanto che negli ultimi giorni la New York Law School ha organizzato una lecture di tre ore sul copyright infringiment, vale a dire sulla violazione delle leggi sul copyright.

Tra i vari punti trattati si è parlato di quando e come è possibile definire l’appropriazione indebita di opere protette dalle leggi sui diritti d’autore. La cosa è in realtà abbastanza facile in certi casi, anche perché prendendo ad esempio le foto di Richard Prince era assai semplice notare la palesemente scopiazzatura. Ma anche il nostro Shepard Fairey si è impegnato alla grande con il suo Hope poster per la campagna presidenziale del presidente Obama. In quel frangente lo street artists più falso del mondo aveva preso in prestito una foto dell’Associated Press.

Hockney fuma, Google copia ed i gatti dipingono, succede anche questo

Di cose bizzarre nel nostro amato mondo ne succedono parecchie, tanto che è impossibile elencarle tutte. Possiamo però fornirvi una breve cronaca delle stramberie successe negli ultimi giorni, tanto per sorridere un poco di questa seriosa scena del contemporaneo. Partiamo con David Hockney: il grande vecchio della pittura, dopo aver scatenato una rissa mediatica con Damien Hirst (accusato di non creare personalmente i suoi spot paintings) ne ha combinata un’altra delle sue, scrivendo un’accorata lettera al Guardian in difesa del fumo. Si tratta di una risposta a Simon Chapman presidente dell’Action on Smoking and Health australiana, un’associazione dedita alla lotta contro il tabagismo.

Chapman è attualmente in visita in Inghilterra ed al buon Hockney questa campagna contro le sigarette non piace affatto: “Se a Simon Chapman sta a cuore la salute dei bambini, allora dovrebbe sapere che 3 milioni di bambini negli Stati Uniti prendono il Ritalin, un farmaco contro i disturbi dell’apprendimento. Per quanto mi riguarda io preferisco assumere sostanze naturali come il tabacco”. Peccato che a Hockney nessuno ha detto che le comuni sigarette sono piene zeppe di addittivi chimici.

Richard Prince “copre” Jackson Pollock

Il nostro povero Richard Prince è appena uscito da una brutta vicenda legale che come ben saprete lo ha visto buscare una sonora batosta dea parte di Patrick Cariou, il fotografo francese a cui Prince ha praticamente scopiazzato un intero set fotografico, apportando leggere modifiche pittoriche e rivendendo il tutto tramite il volpone Gagosian. Tuttavia l’intera vicenda è ormai chiusa e come si sa “chiodo scaccia chiodo”. Così il buon vecchio Prince ha pensato bene di rituffarsi nel lavoro per dimenticare le noie del copyright.

Il grande genio dell’appropriazione di immagini ha pensato bene di saltare le consuete ferie d’agosto ed ha inaugurato una mostra con opere nuove di zecca lo scorso 13 agosto (in visione fino al prossimo 17 ottobre)  alla Guild Hall di New York. Questa volta lo scoppiettante artista ha deciso di prendere di mira il grande Jackson Pollock che se potesse vedere tutto ciò si rivolterebbe nella tomba. L’evento in questione prende il nome di Covering Pollock e coprire il povero genio dell’Action Painting è per l’appunto quello che ha fatto Prince.

Found objects e Found Photography? Da oggi potrebbero costarvi care

La battaglia legale intrapresa da Patrick Cariou contro Richard Prince, che aveva utilizzato le sue foto del povero fotografo francese per la serie di opere Canal Zone, (esposte e successivamente vendute da Gagosian), ha sollevato numerosi interrogativi riguardo la pratica artistica. Se Prince, Sherrie Levine e tutti gli altri compagnucci del New Conceptualism (o Pictures Generation) hanno sdoganato la pratica della found photography, è altrettanto vero che tale mania di “appropriazionismo” ha drammaticamente contagiato le nuove generazioni artistiche.

Trovare immagini e ristamparle è oggi un gioco da ragazzi, grazie anche alle nuove tecnologie. Ecco quindi che sempre più giovani artisti decidono di mettere in mostra scatti “rubati” e filmati presi dall’archivio Prelinger opportunamente rimontati. Fino a ieri questa pratica era supportata da una certa critica “colta”, dagli pseudo-giornilisti dei magazine di tendenza e da gran parte delle gallerie d’alto bordo della scena internazionale.

Richard Prince paga i danni!

Sin. Richard Prince, dx. Patrick Cariou

Mai articolo fu più profetico. Ieri nel nostro pezzo intitolato Quella strana consuetudine di “rubare” le immagini, abbiamo infatti accennato alla vicenda Patrick Cariou contro Richard Prince. Nel 2008, per una mostra alla Gagosian Gallery, Prince aveva praticamente “rubato” alcune immagini del fotografo francese riguardanti la cultura del popolo rastafari e pubblicate nel 2000 dopo una decade di ricerche sulle montagne jamaicane.

Per il suo ciclo di opere intitolato Canal Zone, Prince non aveva fatto altro che aggiungere qualche particolare alle immagini del fotografo. Ebbene ci è giunta da poco notizia che un giudice statunitense ha dato ragione a Cariou, accusando Prince di aver infranto i diritti d’autore riguardanti le immagini. P

Richard Prince, rasta con il trucco

Noie per Richard Prince ed il suo art dealer Larry Gagosian, il fotografo francese Patrick Cariou ha infatti citato in giudizio il dinamico duo per un abuso di copyright riguardante una foto di sua proprietà che l’artista Prince avrebbe usato per una sua recente serie di opere.

Secondo i legali del fotografo francese Richard Prince avrebbe manipolato senza alcuna autorizzazione una serie di immagini provenienti da Yes Rasta, libro fotografico con immagini riguardanti la cultura del popolo rastafari che Cariou ha pubblicato nel 2000 dopo una decade di ricerche sulle montagne jamaicane. Richard Prince ha esposto la serie di opere incriminate in occasione di Canal Zone, una mostra alla Gagosian di New York che ha avuto luogo nel 2008. Anche la nostra italianissima casa editrice Rizzoli sarebbe stata nominata in giudizio per aver collaborato alla produzione del catalogo di Canal Zone, gli esponenti del gruppo italiano hanno però negato il fatto di aver distribuito il catalogo e di essere perciò estranei ai fatti.