Al via negli States un programma di residenza per artisti LGBT

Buone notizie provenienti dalla scena dell’arte a stelle e strisce. Sembrerebbe infatti che tutto sia pronto per un esaltante programma di residenza per artisti emergenti appartenenti alla comunità LGBT (lesbo, gay, bisex e transgender).

Il FIAR, Fire Island Artist Residency, questo il nome del programma, partirà infatti il prossimo 12 agosto e si protrarrà fino al 26 dello stesso mese nella CHerry Grove area di Fire Island, New York. L’isola è da sempre considerata una vera e propria mecca dalla comunità gay internazionale ed Evan Garza, co-fondatore e co-direttore di FIAR ha intenzione di trasformare il programma di residenze in un punto nodale di interscambio per la produzione artistica dell’intero universo LGBT: “Siamo molto, molto emozionati. Abbiamo ricevuto un grande supporto e numerosi consensi sia dalle comunità queer che dalla scena dell’arte contemporanea, non vediamo l’ora di iniziare questa nuova avventura. Fire Island non è comunemente associata alle pratiche artistiche ma le cose cambieranno” ha dichiarato Garza.

A Washington D.C. una mostra sull’importanza della cultura gay e lesbo nell’arte americana


Una mostra decisamente interessante è in questi giorni ospitata alla Lawrence A. Fleischman Gallery dello Smithsonian’s Donald W. Reynolds Center di Washington, D.C. (in visione fino al prossimo 13 febbraio 2011. Si tratta di Lost and Found: The Lesbian and Gay Presence in the Archives of American Art, una vasta panoramica sugli artisti lesbo e gay che hanno cambiato il modo di produrre e fruire l’arte contemporanea. La presenza di artisti gay all’interno del panorama artistico statunitense ha fortemente influenzato le sorti dello sviluppo artistico a stelle e strisce. Al di là delle categorie e delle etichette, molti degli artisti presenti in mostra hanno fatto parte di comunità creative contraddistinte da un approccio anticonformista all’identità sessuale.

In queste comunità, gli artisti si sono sentiti liberi di rappresentare immagini omoerotiche ed hanno abbattuto diverse barriere ideologiche. Lost and Found (oggetti smarriti: la presenza gay e lesbo all’interno dell’Archivio dell’American Art) offre al pubblico la rara opportunità di accedere ad un archivio di immagini impressionante.

James Franco si traveste e Adobe lancia il museo digitale

Terry Richardson colpisce ancora, questa volta con l’aiuto di James Franco. L’attore è ormai una conoscenza abituale nel mondo dell’arte contemporanea dato che sta tentando in tutti i modi di forzare le barricate e comprarsi un posto all’interno del sistema. Richardson ha fotografato Franco nei panni di un transgender con tanto di guanto di pelle in bella mostra.

Il frizzante scatto apparirà sulla copertina del secondo numero di Candy Magazine, pubblicazione che si è ironicamente autodefinita come “Il primo magazine di stile transversale“. Il magazine sembra piuttosto interessante ed al suo interno sono presenti articolo che giocano sui gender e sull’alta moda. Oltre a James Franco, Richardson ha fotografato anche Luis Vegas, l’editore del magazine, che nello scatto impersona il leader di Vogue, Anna Wintour.

Proteste in Polonia per una mostra gay oriented

Il Museo Nazionale di Varsavia in Polonia ha deciso di dare un calcio ai pregiudizi ed a qualunque forma di omofobia. La prestigiosa istituzione ha infatti organizzato un’interessante mostra dal titolo Ars Homo Erotica (che rimarrà in visione dall’11 giugno al 5 settembre 2010), coraggioso evento che ha già sollevato un vespaio di polemiche ed ha persino generato una serie di minacce.

Secondo il curatore Pawel Leszkowicz la situazione sociale in Polonia è peggiorata dopo l’incidente aereo di Smolensk dello scorso aprile dove ha perso la vita buona parte del governo nazionale oltre al presidente Lech Kaczynski: “Dopo l’incidente la nazione è diventata estremamente sensibile e l’atmosfera patriottica ha decisamente preso d’assalto la popolazione. Ovviamente il patriottismo ha incrementato il potere dei gruppi di estrema destra, quindi non sono certo di sapere cosa succederà al momento dell’inaugurazione della mostra”.

Ufficiale Gentilhomosex, le nuove e meravigliose foto di Jeff Sheng

Dopo aver pubblicato le prime sette foto di una sua nuova serie direttamente sul suo website, l’artista Jeff Sheng non è riuscito a chiudere occhio: “Mi alzavo continuamente dal letto per andare a controllare la mia casella di posta elettronica. Sicuramente ora mi contatterà qualche militare dell’esercito nazionale e mi chiederà un mare di informazioni. Alcune delle persone che ho fotografato sono soldati da 20 anni e potrebbero perdere le loro pensioni per colpa mia” pensava Sheng in quella notte insonne. Ma cosa è successo, cosa ha combinato Sheng di tanto grave?

Niente di grave, anzi Sheng ha creato qualcosa di decisamente interessante. Il fotografo ha da poco completato la prima fase del suo progetto fotografico Don’t Ask, Don’t Tell (Non Chiedere, Non raccontare), una serie di ritratti di gay e lesbiche in forza all’esercito degli Stati Uniti. Tutti i soggetti indossano l’uniforme e le loro facce sono in qualche modo coperte da dettagli come lo stipite di una porta o una maniglia o semplicemente dall’oscurità.

Scandalose accuse di pornografia gay contro la mostra shOUT

 Botte da orbi e scazzottate, solo verbali si intende ma la tremenda polemica accesa dalla Gallery of Modern Art di Glasgow ha catalizzato in questi giorni l’attenzione della stampa britannica e alimentato le chiacchiere di “quelli che benpensano”.

La mostra ospitata in questi giorni (fino al prossimo 1 novembre) al museo è il progetto shOUT, collettiva focalizzata sull’arte e lo stile di vita gay, lesbo e transgender. Il grande evento che ospita tra l’altro opere di celebri personalità dell’arte contemporanea come Robert Mapplethorpe, Nan Goldin e David Hockney è stato oggetto di una campagna al vetriolo nata sulle pagine del quotidiano britannico Daily Mail. Il giornale ha infatti etichettato l’evento come “mostra di pornografia gay” e cosa ancor più bizzarra ha convinto il Vaticano a censurare l’opera Made in God’s Image di Travis Reeves dove i visitatori potevano scrivere commenti sulle pagine della Bibbia. L’opera ha scatenato le ire di 600 persone che hanno ritenuto l’atto decisamente dissacrante.