La Libia ribelle si affida alla Street Art

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La street art è, per vocazione, un medium vicino alla voce del popolo più che a quella delle gallerie e dei templi dell’arte contemporanea internazionale. Certo molti grandi protagonisti della street art hanno ceduto alle lusinghe del sistema ma a noi piace prendere come esempio la manifestazione urbana nuda e cruda, quella che solitamente nasconde un chiaro intento sociale e si propone come valvola di sfogo ad un clima di estrema tensione.

Di questi tempi un nugolo di graffiti e murales di ottima fattura sono spuntati come funghi proprio nei territori libici caduti in mano alle forze ribelli. Mentre a Tripoli l’effige di Muammar Gheddafi campeggia in ogni dove su cartelloni pubblicitari, alberghi e quanto altro a Benghazi ploriferano le caricature del celebre e terribile leader oltre che altre immagini anti-regime ed inneggianti alla democrazia.

All’interno della satirica ridda di interventi urbani, Gheddafi appare via via come un moderno Dracula o come la vittima di un  cane o il bersaglio di uno stivale che gli viene lanciato sulla testa o meglio ancora come un serpentello con tanto di coda e lingua biforcuta. Tutte queste manifestazioni creative sono solitamente opera di un gruppo di rivoluzionari che ha scelto di combattere a colpi di spray, evitando di imbracciare armi di distruzione.

Uno dei più celebri street artist libici, Kais al Hilali, è stato barbaramente ucciso a colpi di pistola per mano dei fedelissimi di Gheddafi nel marzo scorso, proprio mentre stava effettuando una delle sue ormai storiche caricature del sanguinario leader. Oggi un gruppo di street artists locali ha deciso di utilizzare proprio il nome di Kais al Hilali per dar vita ad una crew di street art rivoluzionaria. Noi che solitamente andiamo in giro per gallerie e musei ad ammirare le ultime avventure di Banksy e compagnia cantante dovremmo soffermarci un secondo a pensare alla vera natura di un’arte che prima di ogni altra cosa rivendica la libertà di pensiero e di azione dell’essere umano.

photo copyright: The Guardian e Rory Mulholland

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