Dalla poetica leggera di Tacita Dean al malcelato cinismo di Paul McCarthy

di Redazione Commenta

È dal lontano 2003 che la Fondazione Trussardi si è fatta baluardo dell’arte contemporanea sul territorio meneghino, ma soprattutto, si è fatta carico di riportare alla luce i tesori propri della città: i suoi palazzi. Da Palazzo Litta a quello della Ragione, il Circolo Filologico Milanese e l’Istituto dei Ciechi, luoghi di storia a cui la Fondazione diede nuovo lustro.

E con l’uscita di un libro che raccoglie la storia di queste gesta, la direzione artistica di Massimiliano Gioni riesce ad affondare un nuovo colpo, anzi molteplici colpi, considerando i fattori che decretano, già alla sua inaugurazione, il successo della mostra. Prendi uno degli artisti più quotati al mondo, sovvenziona la prima mostra istituzionale del suddetto artista su suolo italiano, mettilo in un palazzo storico chiuso al pubblico dagli anni ’80 e permettigli di portare un progetto monumentale inedito su cui lavora da sette anni e non ancora terminato. Diciamolo: è troppo facile così!

 Lo sarebbe, ma ho imparato che anche le cose perfette sulla carta possono diventare stronzate se non gestite bene. Ora immaginate l’acciottolato di Brera scaldato dal sole, la tranquillità mattutina, io ero l’emblema della pace dei sensi. Arrivai così all’ingresso di un austero palazzone e nell’atrio chi vedo? Bush rosa maiale, sembra un pò l’entrata nel Paese dei Balocchi, errore. Un pezzetto di carta appiccicato su una parete avvisa che la mostra non è adatta ai deboli di cuore e a tradimento, proprio accanto al foglietto, ti piazzano Dreaming: un uomo che sembra vero e che ha dimenticato i pantaloni e vorresti svegliarlo, che magari non se n’è accorto.

Entrare nel mondo Paul McCarthy non è gioiso, non è gioco, seppur sembri così colorato, leggero, invitante, come una caramella gommosa, in realtà ti scaraventa dentro un incubo vischioso che un po’ affascina e un po’ spaventa.

Per conoscerlo devi scendere negli inferi, una specie di bunker di cemento sotto al palazzo, un’ambientazione da film dell’orrore, con muri rotti, tubature a vista, mille deviazioni e troppe scale.

Ad accogliermi nel seminterrato due video Pirate Party e Houseboat Party proiettati in contemporanea, riempiono tutta la stanza, lampi di colore, riempiono i miei occhi, non metto a fuoco, mi assordano le urla dei performers. Cerco di capire cosa succede, sono infastidita, eccitata, sgomenta; ogni particolare delle nostre vite che sembra innocuo e quotidiano, diventa devianza, pazzia, angoscia.

Vado oltre, c’è odore di Ketchup, forte, pungente, che si spande anche nelle stanze attigue, decido di tornare il 4 luglio – giorno di chiusura – per vedere come si trasformerà Ketchup Sandwich. Ed infine eccola, la Pig Island

Non voglio dire nient’altro, scegliete una bella mattina di sole e andate a passeggiare per Brera. Andate a perdervi nell’universo dell’uomo, perché  non è che questo: McCarthy stupisce, crea scompiglio, polemica e scandalo, è irriverente e cinico, ma in fondo non fa altro che metterci a nudo e farsi beffe di tutti noi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>