Per-Oskar Leu – Vox Clamantis in deserto

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In occasione della sua prima mostra in Italia l’artista norvegese Per-Oskar Leu (Oslo, 1980) presenta dal 24 giugno al 31 luglio alla galleria 1/9 Unosunove di Roma il film Vox Clamantis in Deserto, una sorta di canto del cigno nel panorama del True Norwegian Black Metal.

Considerato negativamente per la sua misantropia e per lo sfrontato rifiuto dei valori cristiani tradizionali, il black metal norvegese si è imposto all’attenzione del mondo all’inizio degli anni ’90, in seguito ad un’ondata di delitti e incendi di chiese. La grande risonanza mediatica suscitata da questi eventi ha innescato un fenomeno di isteria di massa senza precedenti, e solo in seguito ai sempre maggiori consensi da parte della critica, l’attenzione si è spostata su un fenomeno che inizialmente era stato considerato dal pubblico generico come maligno e antisociale.

Vent’anni dopo il genere è ritenuto una delle principali esportazioni musicali norvegesi, e i suoi musicisti sono diventati improbabili portavoce della cultura norvegese all’estero.

Il film è basato sull’aria Vesti la Giubba dall’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Vestito con un costume caratteristico del black metal, Leu interpreta il ruolo di Pagliaccio, il clown tormentato che uccide la moglie e il suo amante in un accesso di gelosia. Girato in luoghi diversi, principalmente il negozio di dischi Helvete (che letteralmente significa Inferno) e la Holmenkollen Chapel (incendiata e distrutta nel 1992 dal musicista norvegese Varg Vikernes), il lavoro cerca di smontare alcuni dei miti che ancora oggi circondano il black metal norvegese. Altre scene sono filmate nel nuovo Teatro dell’Opera di Oslo, determinando così ulteriori paralleli tra la natura teatrale e l’inclinazione ai gesti enfatici che entrambe le espressioni musicali condividono.

Mettere in discussione la nozione di autenticità è un tema ricorrente nel lavoro di Leu. Mentre il black metal è salutato ancora da alcuni come l’ultima vera espressione della cultura giovanile trasgressiva, l’artista sceglie invece di tracciare la sua transizione da movimento satanico underground a forma di intrattenimento più convenzionale. Così Vox Clamantis in Deserto si legge come una tragedia faustiana, soffermandosi sul compito apparentemente impossibile di far valere la ribellione in una società dove un posto sotto i riflettori neutralizza con successo ogni tentativo di sovversione.

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