Herb & Dorothy, il film di Megumi Sasaki in anteprima nazionale a MIlano

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Vi ricordate la storia che vi avevamo raccontato di Herb & Dorothy Vogel? bene, ora il film documentario di Megumi Sasaki verrà proiettato in anteprima nazionale oggi al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Il film narra la storia di un’atipica coppia di collezionisti: impiegato alle poste lui e bibliotecaria lei, a partire dai primi anni ’60 si avvicinarono al mondo dell’arte contemporanea, riuscendo a costruire negli anni una delle principali collezioni d’America, vivendo con un unico stipendio e destinando l’altro all’acquisto di opere.

“La maggior parte di noi gira per il mondo senza mai vedere nulla. Poi incontri qualcuno come Herb e Dorothy che hanno occhi che vedono” dice Richard Tuttle all’inizio del film. I Vogel all’inizio degli anni sessanta, fin dai primissimi giorni del loro matrimonio, decidono di vivere solo con lo stipendio di Dorothy e di utilizzare il salario di Herb per comprare arte. Passano la maggior parte del loro tempo tra musei, gallerie e gli studi degli artisti, collezionando in meno di cinquant’anni quasi quattromila opere d’arte. Divengono subito una presenza costante nella scena newyorkese, vere “mascotte del mondo dell’arte” come affettuosamente li definisce Chuck Close nel film: in città tutti li conoscono e come ricordano anche Jeanne-Claude e Christo, era sufficiente cenare una sera con i Vogel per essere aggiornati su tutto quello che era successo a New York negli ultimi sei mesi.
Herb e Dorothy diventano collezionisti seguendo due semplicissime regole: le opere devono avere un prezzo abbordabile e devono poter stare nel loro piccolo monolocale di Manhattan che presto si riempie fino all’ultimo angolo disponibile. La collezione cresce a ritmi compulsivi, all’inizio degli anni novanta l’appartamento straborda di opere d’arte, ogni centimetro quadrato di parete è occupato, i lavori si ammassano ovunque persino sotto il letto – “neppure uno stuzzicadenti poteva più essere ficcato in casa”, commenta Dorothy.

Il film ripercorre tutta la storia di Herb e Dorothy attraverso materiale d’archivio, foto e video, riprese nel loro appartamento, una selezione di immagini dalla loro collezione, e soprattutto attraverso le voci di alcuni degli artisti, critici e curatori che hanno accompagnato la loro vita, diventando poi amici stretti della coppia – come Lucio Pozzi, Jeanne-Claude e Christo, Chuck Close, Sol LeWitt, Robert Barry, Lawrence Wiener tra gli altri. Con la maggior parte degli artisti che supportano e comprano, all’epoca degli sconosciuti, nascono infatti delle vere amicizie. E se è vero che negli anni in cui Herb e Dorothy iniziano a comprare arte, quando la Pop Arte e l’Espressionismo Astratto erano ormai troppo cari, la coppia concentra l’attenzione su un tipo d’arte che all’epoca non catturava l’interesse di molti altri collezionisti – opere concettuali e minimali che quasi non avevano mercato – col tempo gli artisti collezionati dai Vogel diventano famosi e, di conseguenza, più cari, ma i ruoli si invertono e la collezione continua ad aumentare anche “grazie alla generosità degli artisti” stessi.

Oggi Herb e Dorothy vivono nello stesso appartamento di sempre con decine di tartarughe, pesci, e un gatto. Il monolocale è pieno di altre opere che nel frattempo hanno comprato, si spostano meno , – Herb ha quasi novant’anni – ma due volte l’anno visitano la loro collezione a Washington, come andassero a trovare i loro figli al college. L’aspetto più interessante di tutta questa storia, come fa presente alla fine del film Jack Cowart – l’allora curatore della National Gallery of Art di Washington che offre ai Vogel la possibilità di prendersi cura della loro collezione – non è tanto il fatto che chiunque possa essere un collezionista d’arte, perché non tutti possono esserlo, quanto piuttosto l’investimento di energie spese nella ricerca e nella conoscenza, cercando di comprendere l’arte e specialmente quella che meno si capisce, e soprattutto l’incessante necessità di guardare, “looking, looking, looking, looking, looking…”

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