Una giovane arte pesante come una pila di mattoni

di Redazione Commenta

Vi dice niente il titolo Equivalent VIII? Ebbene stiamo parlando di un’opera comunemente nota come The Bricks (I mattoni), prodotta dal mitico Carl Andre nel 1966 ed acquisita in seguito dalla Tate Gallery nel 1972 per 2.297 sterline, una bella somma per l’epoca. Quando fu esposta per la prima volta nel 1976, The Bricks non mancò di scatenare le ire di pubblico e critica, furono in molti infatti ad asserire che la Tate aveva dilapidato una preziosa somma proveniente dalle tasche dei contribuenti per acquistare un’inutile ed anonima pila di mattoni.

L’opera di Andre fu comunque un’operazione decisiva che può aiutarci oggi a tracciare la traiettoria della storia dell’arte contemporanea sempre in bilico tra echi duchampiani e minimal. Inutile dire che Equivalent VIII riesca ancora a sollevar polemiche a circa 30 anni dalla sua prima uscita al Tate. Polemiche ravvivate anche dal costante interesse che i giovani artisti di tutto il mondo mostrano nei confronti del minimalismo. Inutile dire che oggigiorno questa corrente risuscita di continuo ed in varie salse. Ultimamente mi sono imbattuta in una mostra di un giovane artista che aveva prodotto per l’appunto una bella pila di mattoni molto simile a quella di Carl Andre e frutto di un periodo di residenza negli Stati Uniti. Mi ha fatto decisamente sorridere il fatto di compiere ricerche negli U.S.A. per produrre un’opera vecchia di trent’anni.

Ovviamente quel giovane artista non aveva certo in mente Carl Andre quando ha deciso di creare la sua opera ed è proprio questo il dramma: la cronica mancanza di formazione ed informazioni che da ormai troppo tempo attanaglia la giovane arte internazionale. Produrre arte con irruenza e sana spontaneità va bene ma bisogna prima fermarsi un attimo a riflettere su tutta la storia dell’arte contemporanea pregressa. Impossibile sapere tutto direte voi ma è pur vero che non tutti possono inventarsi artisti, anche perché si rischierebbe di ripetere Equivalent VIII all’infinito.

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