Robert Morris

 

Robert Morris, nato a Kansas City nel 1931, studia filosofia e psicologia, formazione che avrà ampia influenza sul suo percorso artistico. Da sempre interessato al corpo umano, al movimento di questo nello spazio e alla sua relazione con gli oggetti, Morris si esprime in un ambito strettamente concettuale, oscillando tra il Minimalismo, la Land Art ed altre correnti, senza però legarsi mai a nessun movimento artistico. Il suo percorso è piuttosto caratterizzato da una solida base teorica e la sua ricerca è sempre accompagnata da saggi e altri scritti di approfondimento…

Donald Judd

  

Opere di Donald Judd. Nel 1964 Judd iniziò a sfruttare il potenziale delle tecniche di produzione industriale, creando così un’arte astratta e geometrica, dalla fredda eleganza, da cui sembra essere stata bandita ogni soggettività, ogni firma personale. Il 1965 vide la comparsa dei suoi primi Stacks, scatole di metallo fissate alla parete a intervalli identici che formavano una colonna verticale.

Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980

Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980 illustra gli snodi principali dello sviluppo dell’arte americana in un periodo di grandi trasformazioni nella storia degli Stati Uniti: un’epoca segnata da prosperità economica, rivolgimenti politici e conflitti internazionali, oltre che da progressi sostanziali in ambito culturale.

La mostra che inaugura il 7 febbraio a Palazzo delle Esposizioni di Roma prende le mosse dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti si affermarono come centro globale dell’arte moderna e l’ascesa dell’Espressionismo astratto iniziò ad attrarre l’attenzione internazionale su una cerchia di artisti attivi a New York. A partire da quel momento, nell’arte americana si assiste a una straordinaria proliferazione delle pratiche estetiche più diverse: dall’irriverente entusiasmo della Pop art per l’immaginario popolare fino alle meditazioni intellettualistiche sul significato dell’immagine che caratterizzano l’Arte concettuale negli anni sessanta; dall’estetica scarnificata del Minimalismo alle sgargianti iconografie del Fotorealismo negli anni settanta. Pur producendo opere profondamente diverse tra loro, tali movimenti furono accomunati da un impegno sostanziale ad indagare la natura intrinseca, il senso e le finalità dell’arte.

Eva Hesse, minimalismo con sentimento

Tra le fredde emozioni offerte dalla grandi stagioni del minimalismo e del post-minimalismo vi è forse un recondito anfratto empio di rovente sentimento, di lirismo ed introspezione che se si oppone all’asetticità ed alla rigidità plastica delle forme. Questo delicato involucro interno è costituito dalle opere di Eva Hesse, grande protagonista del contemporaneo scomparsa a soli 34 anni nel 1970 ma capace di influenzare le nuove leve creative.

Eva Hesse nel corso della sua breve carriera artistica ha contribuito a cambiare per sempre il modo di approcciarsi alla pratica scultorea avvalendosi di materie all’epoca poco utilizzate e sperimentate come la gomma, le resine, il poliestere, il lattice ed altre materie plastiche. L’estrema duttilità degli elementi utilizzati, assieme ad un ferreo e pragmatico controllo degli stessi, permisero all’artista di realizzare installazioni in bilico tra forme organiche e presenze eteree, opere ibride che evocano tensioni tra contrari: caos e ordine, materiale ed immateriale, spazio positivo e negativo.

Una giovane arte pesante come una pila di mattoni

Vi dice niente il titolo Equivalent VIII? Ebbene stiamo parlando di un’opera comunemente nota come The Bricks (I mattoni), prodotta dal mitico Carl Andre nel 1966 ed acquisita in seguito dalla Tate Gallery nel 1972 per 2.297 sterline, una bella somma per l’epoca. Quando fu esposta per la prima volta nel 1976, The Bricks non mancò di scatenare le ire di pubblico e critica, furono in molti infatti ad asserire che la Tate aveva dilapidato una preziosa somma proveniente dalle tasche dei contribuenti per acquistare un’inutile ed anonima pila di mattoni.

L’opera di Andre fu comunque un’operazione decisiva che può aiutarci oggi a tracciare la traiettoria della storia dell’arte contemporanea sempre in bilico tra echi duchampiani e minimal. Inutile dire che Equivalent VIII riesca ancora a sollevar polemiche a circa 30 anni dalla sua prima uscita al Tate.

La corrente segue la corrente

Futurismo, Dadaismo, Espressionismo Astratto, Minimalismo, Vorticismo, Optical Art e chi più ne ha più ne metta. Movimenti ed avanguardie che hanno scritto intere pagine di storia dell’arte contemporanea. Gruppi creativi organizzati che si fondavano sull’unità di estetiche ed intenti per stravolgere consuetudini e manierismi.  Va detto che molti di questi movimenti si sono formati in maniera naturale od attraverso la “forzatura” del manifesto, altri sono stati costruiti ad arte come il Nouveau Réalisme di Pierre Restany o la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, altri ancora come la Pictures Generation sono stati catalogati e nominati dalla critica postuma. Ma c’è ancora posto oggi per un nuovo movimento od un’agguerrita avanguardia?

Probabilmente si ma in questo momento è cosa assai ardua. Del resto di nuove tecniche e nuove correnti ne abbiamo avute parecchie basti citare la Net art e parlando di movimenti la Young British Artists. Il nuovo millennio è però un territorio aspro ed impervio, dove regna un profondo individualismo e gran parte della creatività emergente si lascia confondere dalle sirene del revisionismo.

Yuichi Higashionna, il Minimalismo si vince con l’ironia

Il minimalismo è sicuramente in tema con questi tempi di austerità economica. Tra i licenziamenti in massa, il petrolio che scarseggia e, parlando di arte, i tagli alla cultura previsti dai vari governi internazionali, anche il settore del contemporaneo si affaccia sempre di più ad estetiche composte e spartane, richiamando alla mente le geometrie di Donald Judd e soci. Sono tanti i giovani artisti che scelgono di perseguire la strada del minimalismo e di frequente ci si imbatte in gallerie semivuote, con poche ed algide opere a far da contrappunto allo spazio bianco.

Eppure questa corrente artistica silente e monumentale, criptica e solida, a volte viene tirata in ballo per fini ironici e divertenti. Ad esempio in questi giorni una prestigiosa galleria di Chelsea a New York mette in mostra un artista che reinterpreta il minimalismo in maniera distaccata ed irriverente, tanto per non prendersi troppo sul serio. Alla galleria Marianne Boesky, la mostra Fluorescent di Yuichi Higashionna (fino al prossimo 12 febbraio 2011) è sicuramente un valido esempio di minimalismo divertente e divertito.

Al Castello di Rivoli la retrospettiva di John McCracken

Il Castello di Rivoli organizza e propone la prima retrospettiva in un museo europeo dell’artista americano John McCracken (Berkeley, California, 1934. Vive e lavora a Santa Fe, Nuovo Messico). Protagonista di fama internazionale dell’arte americana, a partire dal suo approccio irregolare e visionario alle correnti del Minimalismo e del Finish Fetish che si sviluppano negli Stati Uniti dall’inizio degli anni Sessanta, John McCracken è per la storia e critica dell’arte figura epica e incompresa, minimalista e visionaria allo stesso tempo. L’importante retrospettiva al Castello di Rivoli è accompagnata dal primo catalogo completo realizzato sull’attività dell’artista e include saggi critici, un’intervista con l’artista e una dettagliata cronologia della sua lunga carriera espositiva.

McCracken è divenuto noto per ciò che egli definisce “blocchi, lastre, colonne, assi. Belle forme basilari, forme neutre.” Il punto di partenza per tali “forme neutre” è l’oggetto minimalista o la struttura primaria come il cubo o la tavola. Eseguite in legno compensato e successivamente ricoperte di fibra di vetro e resina di poliestere, declinate in colori vividi, le forme neutre si trasformano in un oggetto che coniuga le tendenze anti-illusionistiche della Minimal Art con i colori dell’industria automobilistica e con l’idea di uno spazio mentale e immateriale.

Ci vieni alla mostra? C’è l’Industrialminimalism che ti piace tanto

Avete mai assistito ad una mostra di Industrialminimalism? Parliamo della nuova avanguardia artistica che va tanto di moda tra gli spazi più cool del momento. Anche nella vostra città ne stanno organizzando una proprio oggi e se uscite di casa potrete vederla, o forse non vederla. Mi riferisco ad una tendenza sconcertante che ha ormai preso alla gola l’intera scena dell’arte nazionale. Il tremendo processo irreversibile dell’Industrialminimalism comincia più o meno così:

Vi recate in una galleria che sembra in bilico tra un magazzino in disuso ed una segheria dei prestigiosi mobilifici della brianza. Il titolo della mostra in programma suona tipo Floating Structures o magari qualche altra paroletta in tedesco che fa molto figo. All’interno della galleria il pubblico, con in mano dei magazine d’arte italiani (rigorosamente scritti in inglese e con articoli sovrasensibili), pilucca ibridazioni gastronomiche in bilico tra il sushi e il caciucco mentre si aggira con aria finto-annoiata-impegnata per tutto lo spazio espositivo. 

Si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie

La stagione artistica 2010-2011 è ancora un’incognita, molte sono infatti le aspettative e le promesse da mantenere ma ognuno di noi in cuor suo spera di poter vedere il nostro bel paese emergere da una situazione di stasi che da sin troppo tempo aleggia nel sistema.

Sarà la stagione del Maxxi, il gioiellino progettato da Zaha Hadid dovrà infatti zittire le mille critiche e proporre una linea espositiva di grande respiro, un programma in grado di reggere il confronto con la maestosità della struttura. Mentre gli artisti nostrani sono ancora combattuti tra il minimalismo e la Nuova Scuola di Lipsia, il Pop Surrealism e l’arte digitale sembrano in netto calo, tanto che molti esponenti di tale correnti artistiche si sono dati alla fuga, preferendo lidi ben più rassicuranti.

Robert Ryman e le dissolvenze in bianco

Per oltre 50 anni Robert Ryman (oggi splendido 70enne) ha indagato la natura della pittura come mezzo di espressione artistica, in particolare egli ha posto la sua attenzione sulle relazioni tra la superficie dipinta ed il supporto sottostante. I risultati di queste sperimentazioni hanno condotto il grande artista a risultati incredibilmente e sorprendentemente diversi, come è possibile ammirare alla presente mostra dedicata al grande pittore, attualmente in visione al museo Dia:Beacon, situato vicino al fiume Hudson a New York e diretto dalla Dia Art foundation.

Ovviamente la celebre istituzione offre molte altre meraviglie in collezione permanente, opere di grandi nomi del contemporaneo come Joseph Beuys, Walter De Maria, Dan Flavin, Donald Judd, Cy Twombly, Andy Warhol, Louise Bourgeois e On Kawara, ma l’evento dedicato a Ryman non è certo cosa da poco.

Guerre Stellari è simile al mondo dell’arte contemporanea

Lo scorso Giovedì il Philoctetes Center di Manhattan ha inaugurato un bizzarro incontro di contemporanea incentrato su di un progetto dello scultore John Powers. L’evento dal titolo Star Wars and Modernism: An Artist Commentary è appunto una provocatoria ed originale iniziativa volta ad approcciarsi alla celebre pellicola Star Wars non solo come il più banale dei blockbusters americani ma anche come un interessante soggetto artistico dotato di una propria mitologia.

Secondo Powers, Star Wars è una metafora della guerra del Vietnam e le forze oscure del maligno Impero sono in realtà una raffigurazione dell’esercito americano. Oltre a tutti i raffronti metaforici offerti da Powers, l’artista ha ribadito l’aspetto estetico minimalista che si cela all’interno degli oggetti del film. Durante l’incontro/conferenza, Powers ha mostrato alcuni oggetti tratti dalle scene del film con accanto alcune opere d’arte minimalista e l’effetto è stato decisamente stupefacente.

Jacob Kassay in mostra alla Collezione Maramotti

Il progetto Untitled di Jacob Kassay per la Collezione Maramotti di Reggio Emilia (dal 23 maggio al 3 ottobre) si compone di dieci nuove opere, alcune installate a parete, altre deposte a terra. Le tele si presentano come tavole riflettenti che accolgono presenze fantasmatiche della pittura sottostante e nel contempo assorbono e restituiscono lo spazio esterno all’opera. Le tele a terra, elementi scultorei, sono concepite come rejects: scarti che assurgono a valore di possibilità/potenzialità.

Il lavoro di Kassay si ancora ad una praxis minimalista in cui il processo industriale nella produzione dell’opera sottrae il valore di qualità del manufatto per sostituirlo con quello di oggettualità, rendendolo in un certo senso intercambiabile. Gli elementi concettuali del monocromatismo, dell’oggettivizzazione del pigmento pittorico, della riflessione di colore, movimento e forma, assumono centralità nella sua ricerca e vengono codificati e tradotti in una nuova metafisica della superficie pittorica, in una nuova forma di astrazione, fortemente lirica, in cui il riferimento alla fotografia è evidente.

Rudolf Stingel curatore della mostra di Sol LeWitt alla Galleria Massimo De Carlo di Milano

Il 27 gennaio 2010 la Galleria Massimo De Carlo di Milano inaugura una mostra di Sol LeWitt curata da Rudolf Stingel. L’artista italiano, per la prima volta nelle vesti di curatore, si cimenta con uno dei maestri dell’arte minimalista e concettuale, coinvolgendo nell’allestimento tutti gli spazi della galleria.

Rudolf Stingel decide di proporre, nelle tre sale della galleria, cinque wall drawings di grandi dimensioni, tutti giocati sul contrasto bianco/nero e realizzati con matite, pastelli o china: una serie di stelle grigie su sfondo nero, le cui punte aumentano progressivamente da tre a nove (Wall Drawing #386); archi neri che si susseguono su due pareti bianche contigue (Wall Drawing #546); linee, orizzontali su una parete e verticali su quella opposta, disegnate a matita, a mano libera, che sembra che si intersechino ma che in realtà non si toccano mai (Wall Drawing #137); quattro parti uguali di un quadrato in quattro diverse gradazioni di grigio, dal più chiaro al più scuro(Wall Drawing #365); forme bianche di polistirolo applicate su una parete grigia (White styrofoam on a gray wall).