Giovedì Difesa: Non bussare alla mia porta

di Redazione Commenta

Facendo un passo indietro da giovedì scorso c’è invece un Wenders che non esibisce e che, dicendo di meno e nascondendo qualcosa, forse esprime un pò di più. Evidentemente sostanziale il contributo alla sceneggiatura di Sam Shepard, già ammirato nell’ottimo Paris, Texas. Il tutto tratto da un buon soggetto di Gus Van Sant.

Stavolta il film le promesse le mantiene, anche se rimanevo comunque infastidito da qualcosaLa fotografia ispirata ai dipinti di Hopper è strepitosa, poi il conflitto, il vuoto interno dei protagonisti, una ricerca incomprensibile della libertà ma anche della verità nascosta dietro alle proprie stesse tracce, tutto mi era affine. Eppure un punto era presente dal quale non mi riuscivo a staccare, qualcosa che mi innervosiva, qualcosa di sbagliato.

Eccolo. Il figlio ribelle ha ormai trent’anni e si comporta come un rocker imberbe isterico puro e incasinato, restìo al dialogo, impulsivo. Il padre, novello ramingo attore, viveur, consumato incasinatore di famiglie, dedito ai vizi, fugge dal set senza motivo, ma ne ha almeno il doppio.

Cosa succede? Le età si sono allontanate, sfaldate, definitivamente destituite, un’immensa infinita immaturità. O devo considerarlo come una divagazione?

Lui è un attore di western immaturo e viziato, non ha ancora imparato ad affrontare un dialogo… lascia le immagini e la vita scorrere su di lui.

Ma il figlio?

Ha un passato burrascoso, una madre single che fa la cameriera… dovrebbe essere cresciuto in fretta.

Le immagini e la vita scorrono.

Lo so bene, all’interno del film tutto è sensato, ma tuttora non mi ci stacco… qualcosa che ha a che vedere con il rifiuto degli alibi, forse.

Molto più logiche e assennate le figure femminili, anche se (purtroppo l’ho visto doppiato) nel momento dello sfogo della madre single, ho sperato che la finisse presto… il doppiaggio mi irritava fin oltre la mia imberbe immaturità giovanile supposta.

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