Emilio Isgrò alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma

di Redazione Commenta

Emilio Isgrò torna a “disobbedire”, e lo fa stavolta non nella sua isola, ma nella capitale della Repubblica, in uno dei templi dell’arte contemporanea. L’artista di Barcellona di Sicilia, classe 1937, sarà infatti protagonista, sabato 7 maggio 2011 alle 12.00, di una performance alla Galleria nazionale d’arte moderna a Roma (in Viale delle Belle Arti, 131), dove vestirà nuovamente i panni di un insolito Giuseppe Garibaldi, già indossati per l’inizio delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Lo scorso maggio era stata la città di Marsala, già scenario dello sbarco dei Mille, a far da quinta alla pièce teatrale dell’artista, che rievocava l’approdo dei garibaldini in Sicilia nel maggio del 1860.
Questa volta Isgrò si esibirà, invece, davanti al pubblico capitolino, circondato dai volumi della sua Costituzione Cancellata, senza il pericolo (o forse proprio con quell’intento) di risvegliare il “corpo” in alluminio dell’Italia che dorme, incurante di un nugolo di blatte che ne cospargono il letto e la corona turrita.  Tutto contribuisce al pathos dell’evento: l’inflessibile Italia personificata, i volumi della carta costituzionale, cura estrema di un’ammalata cronica per la quale la mano del cancellatore prevede le sorti più cupe. Dai leggii emergono qua e là motti ambigui: divertissement per i benpensanti; profezie funeste per i più accorti. Lo Stato può essere sciolto da tre cittadini”, “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto sette anni”, “E’ senatore di diritto chi è nato di febbraio”, si legge in un clima di grottesca decadenza, in cui l’Italia beona russa della grossa. “Così si è ridotta la patria per cui siamo morti?”, potrebbero chiedersi i martiri di Custoza o di San Martino, ritratti nelle tele risorgimentali di Giovanni Fattori e Michele Cammarano che rivestono le pareti del Salone. O, che fine ha fatto la Verità, difesa strenuamente dal Giordano Bruno – cui la sala è intitolata – simbolo, per la tradizione repubblicana e garibaldina, della lotta contro gli ‘oscurantismi’ e della libertà di pensiero? Più concentrato sulle tragiche parole di Isgrò, apparirà infatti l’imponente monumento in gesso del filosofo – opera di Ettore Ferrari –, insieme all’altro Garibaldi, quello del busto scolpito da Ercole Rosa, spettatori attenti rispetto all’incosciente Italia assopita.

Di fronte a tale passività, risuona stentoreo il grido Disobbedisco a tutto!, cui fanno da coro gli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”di Roma, in un crescendo di solennità profetica, ma anche di commozione suscitata dall’originale messinscena. Ospite speciale della pièce, della durata totale di circa mezz’ora, l’attrice Francesca Benedetti, l’indimenticabile protagonista di quella Orestea di Gibellina che, portata in scena da Isgrò tra il 1983 e il 1985, ha segnato una svolta nella storia del teatro.

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