Parliamo di opere, non di nomi

di Redazione Commenta

Quando guardate una mostra, ammirate la valenza delle opere o preferite semplicemente ammirare i nomi degli artisti o peggio ancora i loro curriculum? La risposta a questa domanda dovrebbe essere assai semplice, eppure sembra che non tutti siano in linea con l’affermazione: “l’opera prima di tutto”. Negli ultimi tempi infatti, molti attori dell nostro sistemone artistico nazionalpopolare hanno dimostrato di pensare solo al loro progetto curatoriale, sparando nomi blasonati, piuttosto che osservare da vicino la produzione degli artisti.

Esempio lampante di questa pratica assai deprecabile è l’attuale Padiglione Italia (con relative Biennali diffuse in ogni regione) di Vittorio Sgarbi. Per tener fede al suo progetto, il celebre storico ha di fatto affastellato decine e decine di nomi, creando una sorta di fai da te dell’arte, con artisti lasciati alla loro mercé che hanno trasportato le opere a proprie spese e non hanno avuto nemmeno voce in capitolo per quanto riguarda l’allestimento. In tutto questo bailamme l’opera diviene un banale oggetto esposto al mercato del pesce, un accessorio che si perde tra mille altre facezie, andando così a svilire non solo l’artista ma anche il significato stesso del “fare arte”. In altre manifestazioni ed altri prestigiosi premi d’arte, si guarda solamente al nome ed al curriculum, se un dato artista è spalleggiato da cordate potenti viene chiamato ad esporre più volte e più volte vincerà numerose onorificenze.

L’opera prodotta da questo artista è ininfluente, marginale, un orpello che deve per forza di cose esser presente, altrimenti non si parlerebbe d’arte. Come se tutto questo non bastasse, leggendo i testi critici che accompagnano una mostra, ci si rende ben presto conto che essi, nella loro assurda bolla di citazionismo ed autoreferenzialità, parlano di tutto fuorchè dell’opera. Bisognerebbe invece riaffermare questa sacrosanta centralità dell’opera e badare meno alle provinciali dinamiche del nostro artesistema. Solo così potremo tornare a parlar d’arte, non di formazioni pseudo-calcistiche che sin d’ora hanno raccolto “zero tituli” in campo internazionale.

Micol Di Veroli

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