Case d’asta e agenzie di rating, stessa faccia stessa razza?

di Redazione Commenta

In questi tempi di crisi si sente spesso parlare di spread e di rating, termini entrati ormai nel nostro vocabolario comune che ci riportano alla mente l’oscuro mondo della finanza. Per quanto riguarda il rating stiamo parlando di una valutazione data da agenzie private che in sostanza rappresenta un giudizio tutto da verificare, solitamente basato su criteri non scientificamente dimostrabili.

Anzi, molte volte in passato alcune agenzie di rating sono incappate nel meccanismo dell’insider trading, ovvero l’omissione di comunicazione al mercato di informazioni in grado di abbassare il prezzo del titolo, dando così il via ad una serie di speculazioni. Questo solitamente accade nel mondo della finanza ma non c’è da stupirsi se queste situazioni si ripetono anche nel mondo del mercato dell’arte contemporanea che dopotutto non si allontana poi tanto dai meccanismi di borsa. Potremmo infatti definire le case d’aste delle vere e proprie agenzie di rating che tramite quotazioni e vendite assegnano un valore nominale ad una data opera di un determinato artista. Il valore solitamente è attribuito in base alle precedenti aste cui ha partecipato l’artista in questione, al suo prestigio ed al potere di mercato, alla limitatezza o meno della sua produzione creativa ed infine in base al suo coefficiente. Insomma questi fattori, seppur labili e difficili da stimare, costituiscono una base scientifica che in sostanza dovrebbe garantire una certa sicurezza per il collezionista. Spesso però nel corso delle aste accadono cose inspiegabili che finiscono con l’attribuire alle opere dell’artista “in vendita” un rating del tutto sballato.

Tra case d’asta che ricomprano le opere messe in vendita, cartelli di collezionisti che si rialzano il piatto a vicenda e prezzi gonfiati all’origine  creando una sorta di domanda artificiale. Speculazioni al rialzo dunque, ma a perderci sono quei collezionisti fuori dal giro di amichetti che incautamente acquistano opere ad una cifra altissima per poi sentirsi dire che nessuno è disposto a ricomprarle se non al ribasso. Poi parlano male della finanza.

 

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