
Attivare le coscienze, portare la realtà all’interno della pratica artistica ed abbattere le barriere delle consuetudini è stata una prerogativa di molti artisti dagli anni ’50 in poi. Dai primi vagiti della performance art con gli Happenings di Allan Kaprow, John Cage, Robert Rauschenberg e Merce Cunningham, passando per le feroci incursioni della Body Art e gli orgiastici riti di Hermann Nitsch ed i suoi colleghi dell’Azionismo Viennese, il fruitore è stato chiamato in prima persona a partecipare all’atto creativo, ricevendo in cambio violente emozioni tali da poter scuotere gli animi ed oltrepassare i tabù, il perbenismo e i dogmi religiosi oltre che l’anestetizzazione proposta dai mass media.
Quella dagli anni ’50 agli anni ‘90 è stata un’arte contemporanea caratterizzata da forti sperimentazioni, azioni estreme che hanno sovente messo a repentaglio la vita stessa di chi le aveva concepite. Ed anche nelle ardue prove esclusivamente concettuali gli artisti dell’epoca hanno comunque cercato di provocare una reazione, un interscambio di stimoli ed idee fuori dal banale.



Un grande maestro, un fotografo innovativo, uno sciamano forse un misitco o un eremita. Questi termini sono forse limitativi per una figura monumentale come quella di Frederick Sommer, artefice di vere e proprie alchimie fotografiche in bianco e nero, dai fotomontaggi, ai soggetti evanescenti fino alle ossa dei coyote ed alle interiora di animali brutalmente fissate sullo sfondo bianco. Sommer era un’autodidatta e la fotografia diurna era la sua pratica preferita, un medium capace di portarlo in molteplici direzioni attraverso le oscure strade del processo creativo.