I fasti della Young British Artists generation sono passati ormai da un bel pezzo. L’anello di congiunzione che ha decretato il successo di gente come Tracey Emin, Damien Hirst, Steve McQueen, Chris Ofili, Marc Quinn e Jenny Saville si è irrimediabilmente spezzato ed a nulla sono valsi i tentativi di Charles Saatchi di ricomporre i frammenti dell’incantesimo. Eppure il buon Saatchi aveva organizzato nel 2010 la mostra Newspeak:British Art Now, con la speranza di sfornare altri artisti in grado di bissare quanto fatto dagli eroi di Sensation.
Ma le galline delle uova d’oro hanno chiuso i battenti con l’avvento della crisi economica e con lo scoppio della bolla speculativa dell’arte contemporanea innescata dalle vendite in fantastilioni di paperdollari di Damien Hirst. Proprio il buon Hirst ha chiuso un’epoca, aprendone un’altra ben più oscura con la faraonica serie di mostre in tutte le gallerie Gagosian del Mondo. Difficile quindi ripetere il miracolo della YBA e forse gli artisti britannici di nuova generazione non hanno nemmeno voglia di calcare le orme dei loro illustri predecessori.

Fioccano le critiche per l’ultima mostra organizzata da Charles Saatchi nella suo quartier generale di Londra. Come precedentemente accennato in un nostro articolo, il magnate ha tentato di bissare il successo della generazione Young British Artists, manipolo di artisti assemblati a mestiere negli anni ’90 per raggiungere le vette dell’arte. In quegli anni Tracey Emin, Steve McQueen, Tacita Dean, Liam Gillick, Damien Hirst e CHris Ofili, assieme a tante altre stars del contemporaneo hanno raggiunto quotazioni incredibili, catapultando Saatchi nel gotha del mercato dell’arte.

Finalmente si è aperta Skin Fruit (in visione fino al 6 giugno 2010), la tanto attesa e criticata mostra del New Museum curata da Jeff Koons con opere provenienti direttamente dalla collezione del celebre dealer greco Dakis Joannou, il quale figura anche tra i benefattori del museo. Questo strano conflitto di interessi fu aspramente criticato lo scorso autunno, al momento della presentazione del progetto ed in molti furono concordi nel definirlo “una pessima idea“. Ed a giudicare da quello che possiamo vedere oggi nelle sale del New Museum non c’è che da confermare tale affermazione.
Qualche anno dopo aver vinto il Turner Prize edizione 1998, Chris Ofili era in un negozio di Londra per comprare una grande quantità di colori. Una volta giunto alla cassa uno studente in fila dietro di lui gli chiese: “Ma tu sei Chris Ofili? alla scuola d’arte tutti dicono che hai smesso di dipingere“.