Fare arte vuol dire fare politica. Più che lecito parlare di arte politica o politica dell’arte, anche se per qualcuno l’arte rimane un momento di creatività slegata dal linguaggio politico. Eppure oggi più di ieri l’artista non può non tener conto degli aspetti per così dire “burocratici” della vita creativa. I musei, i ministeri, gli assessori, gli addetti, i direttori e persino i collezionisti, tutti appartengono ad un colore politico e purtroppo bisogna sapersi accodare se in qualche modo si vuole continuare a lavorare.
elezioni
Andrea Diprè in politica, candidato anche Osvaldo Paniccia
L’improbabile critico(?) d’arte si candida anche in politica. E’ l’ultimo capitolo di una storia tutta italiana che dovrebbe spaventarci. Ed invece la rete si diverte ed attende la discesa in campo di Osvaldo Paniccia. Gustatevi il video con l’intero programma politico dopo il salto…
Le elezioni presidenziali U.S.A. diventano una mostra d’arte contemporanea
Jonathan Horowitz trasforma le elezioni in una grande installazione/performance
I soldi del museo? Se li prende l’iPhone
Leggevo ieri un’intervista di Exibart ad Achille Bonito Oliva sullo spauracchio dei tagli alla cultura. Mi sembra che il celebre e stimato curatore e critico d’arte abbia ben fotografato le cause e gli effetti di questa terribile situazione-Italia, ma (prendendo in esame solo le istituzioni museali ed affini) quali potrebbero essere le soluzioni a questo problema? Come portare soldi alle casse dello stato ed al contempo evitare lo sfacelo totale delle istituzioni museali e culturali in genere? Difficile a dirsi. Il governo inglese ad esempio, tramite il ministro della cultura Jeremy Hunt, sta tentando di incoraggiare i ricchi del paese a finanziare le operazioni culturali dell’intera nazione.
Fino ad ora sono stati raccolti circa 120 milioni di dollari che potrebbero servire a finanziare tante iniziative o comunque a sorreggere ciò che esiste già. Il privato dunque rimane un’importante carta da giocare per non far andare tutto in rovina. Musei e monumenti gestiti dai privati, questa potrebbe essere una buona soluzione ma è ovvio che lo stato dovrebbe comunque vigilare su tutto.
Alcune note sparse sulla crisi di governo e sul declino della cultura
Con il bipolarismo in lento disfacimento e con lo spettro delle elezioni anticipate mi viene da pensare ad altri 12 mesi di totale agonia per il mondo della cultura (e non solo). Ci vorranno nuove iniezioni di fondi e tutte le forze dello stato saranno concentrate sulla macchina elettorale. Da li in poi bisognerà cominciare a ricostruire la nostra cultura ma intanto salteranno cordate, cambieranno vertici dei musei, spariranno manifestazioni che saranno rimpiazzate da altre (di parte), gli stanziamenti per eventi e quanto altro dovranno essere ridistribuiti. Praticamente si verificherà ciò a cui stiamo assistendo da ormai diverso tempo: l’immobilità.
La nostra parabola non è discendente, essa è in perfetta stasi e non è peccato definire la situazione della cultura italiana come una grande parentesi di vita di ciò che è morto, muoventesi in se stessa. Non ci vuole un genio per comprendere che se questa strada sarà perseguita anche da un futuro governo, l’immobilismo verrà ricostituito dalla posizione stessa che pretende di combatterlo.
Steven Barrett piazza Gordon Brown al posto di Obama
Tempo di elezioni anche in Inghilterra ma c’è da dire che nel Regno Unito, come del resto in Italia, le elezioni sono una questione molto lontana dal glamour. In Italia ad esempio tutti noi associamo il periodo elettorale ad una massa informe di volantini e cartelloni pubblicitari dove campeggiano facce ben poco attraenti, personaggi che giocano a mascherarsi da leader a volte bonari altre pragmatici o rassicuranti, fino ad arrivare a volti che rasentano il ridicolo ed il farsesco, tutto per accaparrarsi qualche centinaio di voti in più.
Bene in Inghilterra le cose sono più o meno come da noi ed è sicuramente difficile immaginarsi Gordon Brown, David Cameron o Nick Clegg nei panni dell’iconico Obama del poster Hope creato da Shepard Fairey, opera che si è tramutata in un vero e proprio simbolo della campagna per le elezioni presidenziali americane del 2008. Barack Obama e John McCain si sono sfidati per ben tre volte nel corso di talk show televisivi ed ora anche i politici inglesi hanno deciso di prendere parte a queste kermesse televisive per la prima volta nella storia.