Le mostre nel periodo della crisi, meglio o peggio?

Una volta, non troppo tempo fa, le mostre in galleria erano un vero e proprio must ed in ogni città si organizzavano un numero impressionante di eventi, alcuni di altissima qualità ed altri un poco meno ma pur sempre meritevoli di uno sguardo. Del resto il cibo cattivo provoca intossicazioni, l’arte brutta per fortuna non ha mai rovinato la vista a nessuno, almeno credo. Eravamo nel periodo d’oro dell’arte contemporanea nazionale, quello in cui tutti parlavano di creatività, dove l’arte digitale rappresentava un futuro pieno di successi, dove la nuova critica scriveva libri sagaci e puntuali che puntualmente vendevano migliaia di copie.

Forse la crisi economica era già ben salda sul nostro groppone ma questo ai galleristi importava ben poco ed allora via con la produzione delle opere, con i vernissage ricchi di cibo e beveraggi, con i cataloghi finemente decorati e con le mostre organizzate dal curatore alla moda di turno. L’ultimo ventennio è stato il nostro “boom”, l’esplosione di una passione troppo forte per durare a lungo. Poi c’è stata la crisi, ma non solo quella economica, quella di contenuti, la smania di correre appresso agli statunitensi ed ai tedeschi, la sicumera dei critici nel vaticinare questa o quella tecnica come il next big thing della creatività.

Arte contro tutti, quando la scena diventa troppo esclusiva

 
Patinato ed allo stesso tempo ultra-esclusivo, il mondo dell’arte contemporanea non è mai stato così incastrato in tic e contraddizioni come in questi ultimi tempi. Al grido di “l’arte non può essere accessibile a tutti”, parafrasando un seppur ben più illuminato Carmelo Bene, le direzioni di molte prestigiose manifestazioni fieristiche hanno da tempo deciso di operare una scrematura delle gallerie partecipanti, permettendo l’accesso in fiera solamente a quei dealers che a loro parere rappresentano la creme de la creme della scena. Chi non fa parte della lista non può essere considerato un attore principale del mercato.

Lo stesso dicasi per molti premi e concorsi d’arte che hanno scelto di istituire una formula a chiamata diretta. Gli artisti invitati sono accuratamente scelti dai selezionatori e solitamente sono spalleggiati da gallerie private che “contano”. Nessun’altro può partecipare ed il pubblico da casa può solo leggere sui magazine del settore il nome dei vincitori dei tanto agognati premi. Nella peggiore delle ipotesi anche le cerimonie di premiazione sono a numero chiuso.

Il Giudice parla chiaro: la Lista Nera non esiste ma…

Vi abbiamo tenuto sempre informati sull’intera vicenda e siamo ora qui a comunicarvi che alla fine la corte di Manhattan ha negato l’esistenza della famigerata lista nera dell’arte contemporanea. Lo scorso giovedì la corte ha emanato il verdetto, giudicando aleatorie le accuse del collezionista Craig Robins, che aveva appunto accusato l’artista Marlene Dumas, assieme ad una serie di celebri dealers americani. Robins, stando a quanto dichiarato, sarebbe stato messo su una sorta di lista nera assieme ad altri collezionisti, colpevoli di rivendere troppo presto le opere degli artisti rappresentati da un giro di gallerie amiche e di pregiudicare così la giusta crescita di quotazioni degli stessi .

In parole povere tutti i collezionisti e galleristi presenti sulla lista, sempre secondo le parole di Robins, non possono più comprare opere d’arte dalla cerchia di dealers implicati nel giro.  David Zwirner, ex dealer di Marlene Dumas ha poi confermato la presenza di una lista nera rivolta però a collezionisti accusati di aver speculato sulle opere dell’artista. Insomma alla fine il giudice ha ritenuto del tutto infondate le accuse di Robins che non sarebbero state supportate da prove concrete o quantomeno scritte.

Tokio risponde all’occidente con una nuova ondata di gallerie d’arte

Abbiamo parlato ieri dell’interessante mostra al Mori Art Museum di Tokio che indaga sul rapporto tra arte e medicina. Ebbene questo evento è solo la punta dell’iceberg di un’effervescente stagione artistica che sta letteralmente cambiando il tessuto culturale della capitale giapponese. Esiste quindi una scena dell’arte contemporanea giapponese in piena salute ed in sostanziale crescita che oltre a presentare all’occidente un’agguerrita schiera di giovani artisti sta facendo registrare un boom di aperture di nuove gallerie e spazi.

Ad esempio nel patinato quartiere di Ginza, punto di riferimento per lo shopping, sorge l’Okuno building, un palazzo costruito nel 1932 che ospita più di 20 gallerie d’arte tra cui la Gallery Serikawa che in questi giorni ospita una mostra del celebre e storico artista Kiyoto Maruyama. Nel palazzo c’è anche una piccolissima galleria chiamata A Piece of Space che mette in mostra in questi giorni una scultura dell’artista svizzera Susanna Niederer. Ma Tokio è anche patria della celebre galleria Scai the Bathhouse, elegante spazio dai soffitti altissimi totalmente immerso nella luce naturale che proviene dalle grandi finestre. La galleria negli ultimi tempi ha esposto opere di artisti internazionali come Anish Kapoor e Louise Bourgeois.