(e)merge, la fiera low cost che piace agli americani

Fiere e fierette dell’arte contemporanea sono un fenomeno in forte espansione in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi queste manifestazioni sono organizzate con grande cura e accolgono al loro interno solo gallerie ampliamente quotate sul mercato. Per questo motivo le opere degli artisti in mostra sono proposte a cifre non sempre abbordabili e spesso chi vorrebbe comprare è costretto a ripiegare su opere di piccole dimensioni, stampe ed altre produzioni minori.

Il secondo grande “vizio” delle fiere dell’arte riguarda proprio la presenza degli artisti che ovviamente devono essere presenti nel roster delle già citate gallerie d’alto bordo, gli artisti senza galleria di rappresentanza solitamente non sono ammessi. Esistono però delle fiere d’arte dove il lusso e l’esclusivismo lasciano il posto ai prezzi contenuti e all’apertura al mondo dell’arte emergente, incentivando così sia il collezionista casuale che quello abituale dotato di voglia di investire nei nuovi talenti.

Alcune riflessioni su Wojnarowicz e l’oscurantismo made in U.S.A.

Devo dire che la scelta della Smithsonian National Portrait Gallery di Washington D.C. di rimuovere l’opera A Fire in My Belly di David Wojnarowicz dalla mostra Hide/Seek mi ha lasciata decisamente stupefatta ed indispettita. Stiamo parlando di un artista (deceduto a soli 37 anni nel 1992) tra i più importanti e sensibili della sua generazione nonché di un uomo che usava l’arte come antidoto nei confronti delle costrizioni sociali e come traccia per testimoniare la sua esperienza umana.

Un ribelle proveniente dalla cultura popolare che aveva una sua poesia visiva fatta di sogni e immagini lisergiche. Per questo mi chiedo, non è compito del mondo dell’arte quello di combattere contro chi etichetta le opere come offensive e degenerate? Evidentemente no, evidentemente tutto ciò è solamente frutto di un discorso di facciata che va bene solo per mostrare alla gente un impegno sociale oggettivamente inesistente.

Ericailcane, la street art italiana conquista gli U.S.A.

Prima c’erano gli spaghetti western ed ora, in maniera abbastanza rocambolesca e fracassona, la street art made in Italy sta lentamente ma inesorabilmente catturando anche la scena internazionale. Si potrebbe dire senza ombra di dubbio che questo movimento artistico nato negli Stati Uniti ha trovato da noi un terreno assai fertile che negli ultimi tempi ha prodotto buoni frutti.

Se l’arte contemporanea nostrana “più canonica ed istituzionale” fatica ad imporre i suoi pupilli all’estero, la street art riesce dove tutti falliscono, forse perchè le nostre incursioni urbane arrivano a mixare abilmente nuove estetiche con tradizioni centenarie, forse perché questa tecnica libera i giovani artisti da tutti quei vincoli propri del nostro sistema. Sta di fatto che nomi come Blu, Sten e Lex, nel corso di pochi anni e grazie ad interventi sempre più coraggiosi e creativi, sono riusciti ad evadere dai nostri confini dove ristagnano troppi talenti ed hanno liberamente preso il volo verso lidi sempre più ambiziosi.

Quando Spock decide di mettersi a fotografare


Il Mass MoCA in Massachussets ha organizzato in questi giorni una mostra fotografica dove è presente un artista d’eccezione, anzi stellare. Forse il nome Leonard Nimoy potrebbe non dirvi nulla ma se a questo nome aggiungiamo quello della popolare serie televisiva Star Trek ed in particolare del personaggio Spock, allora forse tutto diventa più chiaro. Nimoy ha vestito per oltre 40 anni i panni dell’impassibile vulcaniano ma nel contempo ha sempre coltivato un profondo interesse per la fotografia.

La mostra personale di Nimoy ( in visione dal prossimo 1 agosto 2010 ) prende il titolo di Secret Selves e consta di 26 fotografie a colori, 11 delle quali a grandezza naturale. L’artista si è ispirato alle teorie di Aristofane sugli esseri umani, descritti come creature che un tempo erano dotati di due teste e molteplici arti, questo prima che Zeus li dividesse in due. Nimoy ha quindi fotografato alcune persone mettendo in risalto la loro metà perduta o nascosta, vestendole come rock star o come personaggi dei fumetti.