Il disegno come pratica artistica: Marco Bongiorni e Sergio Breviario per Marie-Laure Fleisch

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Marco Bongiorni, Selfportrait on Glass, 2010, inchiostro su vetro, 25x29 cm. Copyright: 2010, Marco Bongiorni.

Una delle caratteristiche che contraddistinguono l’arte contemporanea, ma che forse è sempre stata insita nella natura stessa della pratica artistica, è il dibattito tra due differenti approcci. Se da un lato è l’adorniana forma il luogo di convergenza dell’esperienza artistica, dall’altro, essa è intesa come mezzo, strumento sensibile  e rivelatore, che solo “schiantandosi” contro il proprio limite giunge a proiettarsi verso la meta delle possibilità. Drawings by two, a cura di Ludovico Pratesi presso la galleria Galleria Marie-Laure Fleisch di Roma, ci offre l’occasione di esperire dei due differenti approcci attraverso le ricerche artistiche di Marco Bongiorni e Sergio Breviario entrambe declinate attraverso l’utilizzo ossessivo del segno grafico.

Per Bongiorni, la cui ricerca verte in particolar modo sui tratti distintivi del suo volto, il segno è qualcosa che si da nel tempo, che è soggetto alle modificazioni sensibile e dunque che non può rimandare a una verità assoluta se non quella che fa riferimento alla forma, alla sua compiutezza intrinseca. Non a caso l’artista sceglie di riprendere le espressioni del suo volto rendendosi conto che ogni volta si rivelano alla sua mano esperta come qualcosa di nuovo, tanto più se relazionate alla propria identità.

I ritratti richiamano le esperienze agonizzanti di Schiele: con volti scarnificati, consumati, ci viene da pensare, dal contingente. L’opera d’arte, e il disegno in questo caso, redime attraverso quel suo sguardo obliquo capace di mettere in evidenza ciò che sfugge al senso comune. Come ci rivela l’artista sesso: “Forse i miei disegni non sono altro che buchi nel mio pensiero, spazi vuoti del mio ragionamento conscio, nella misura in cui le cose che ci influenzano e ci determinano in questo mondo sono proprio quelle che non conosciamo, che non pensiamo, che non facciamo”.

Più “mentale” appare invece il lavoro di Sergio Breviario in cui il disegno si fa quasi impercettibile. L’artista alla ricerca di un’identità perduta dell’opera ci presenta volti sfumati dai connotati impersonali, ama lavorare con supporti trasparenti; tutti gli elementi concorrono in questa ricerca di annullamento spazio temporale, proiezione oggettiva che ci è dato di recepire solo dopo un’accurata preparazione dello sguardo a cui l’artista stesso ci orienta attraverso un allestimento complesso. Lo spazio della rappresentazione si fa mistico, come in un tempio siamo portati a esperire delle opere attraverso la loro conclusa sacralità; ci introduciamo poco alla volta, prima spiando e man mano, attraverso un percorso catartico, ci prepariamo a raggiungere l’opera che solo una volta “purificati” dalla comune esperienza può rivelarsi come sensazione. “Quando disegno non ho tanto l’ossessione del disegno in sé, ma la preoccupazione di cosa disegnare. Il soggetto è il problema”.

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