Arte Contemporanea a Teatro, il programma di collaborazione Fondazione Bevilacqua La Masa – Teatro La Fenice di Venezia a cura di Francesca Pasini, prosegue con il progetto dell’artista canadese, di origine ceca, Jana Sterbak (Praga 1955), Through the eye of the other, che comprende la proiezione del video Waiting For High Water sullo schermo tagliafuoco e l’esposizione di una scultura. Il progetto si inaugurerà sabato 27 febbraio dalle ore 19 alle 21 dove resterà visibile fino al 28 marzo, mentre la proiezione del video verrà replicata dal 14 al 21 marzo.
Dopo la Biennale del 2003, quando le era stato affidato il padiglione del Canada, Jana Sterbak compie un doppio ritorno a Venezia, la proiezione Waiting For High Water (2005), e’ infatti dedicata alla città nel momento in cui la marea sta salendo. E’ la seconda di una serie di video su piu’ schermi, che fanno parte della -composizione- realizzata con il cane Stanley, al quale era stata applicata sul corpo una videocamera. La prima, From Here to There, girata nell’inverno 2002-2003 nel Golfo di Saint Lawrence, era stata presentata al padiglione canadese nel 2003, mentre Waiting For High Water, girata nel 2004 e’ stata presentata per la prima volta alla Biennale di Praga del 2005.Nel momento in cui Jana Sterbak ha accolto l’invito di proiettare Waiting For High Water sullo schermo taglia fuoco del Teatro La Fenice, ha creato un contrappunto in un’altra zona del teatro dove espone la scultura in argento del cane e, all’intero evento, ha dato titolo Through the eye of the other.
Waiting For High Water nasce come una triplice proiezione, al Teatro La Fenice e’ invece su un unico schermo, il tagliafuoco, ma la multipolarità della visione avviene nel raccordo con la scultura del cane.
Il grande lavoro che Jana Sterbak ha realizzato dalla fine degli anni ’70 e’ caratterizzato da un particolare rapporto tra performance / proiezione / fotografia. Alla base delle sue performance ci sono degli oggetti-sculture che sono il fulcro attorno al quale si sviluppano le immagini successive. Molto famosi sono Vanitas 1987 e Chair Apollinaire (1996), il vestito e la poltrona realizzati con carne cruda, la quale e’ simbolo sia dell’eros che della morte. In Sisyhpe (1991), un uomo nudo dentro una grande gabbia, dal fondo semisferico, tenta di spostarsi, ma il rollio gli impedisce di tenere la direzione, metafora delle difficoltà umane. In Remote Control I (1989), presentato ad Aperto-Biennale di Venezia 1990, una donna e’ sospesa, dalla cintola in giu’, in una gabbia che poggia su ruote, azionate da un telecomando. Ancora il simbolo della difficoltà ad agire liberamente.
Jana Sterbak ha vissuto a Praga fino all’adolescenza e poi si e’ trasferita con la famiglia in Canada, e nelle sue opere appare sia la critica tagliente e ironica dell’influenza del capitalismo sulla percezione e sulla cognizione umana, sia i condizionamenti profondi delle vicende personali.
Faradayurt (2001), e’ una tenda chiusa in tessuto metallizzato, protetta da un campo magnetico (scoperto da Michael Faraday) che ricorda le tende dei nomadi dell’Asia centrale (Yurt), ma anche quella dipinta da Piero Della Francesca ne Il sogno di Costantino (1457). La stoffa e’ opaca dall’esterno mentre dall’interno e’ trasparente, ma fuori si puo’ solo guardare, un isolamento invisibile che riguarda i movimenti dell’anima, ma anche quello che il mondo a volte impone.
Emblematica e’ l’opera del 2001 Dissolution (Auditorium), dove una serie di sedie disposte a cerchio irregolarmente, come fossero personaggi in un auditorio, progressivamente si disgregano: la seduta e lo schienale sono di ghiaccio, man mano che si scioglie distrugge le sedie, di cui rimangono solo le gambe sparpagliate a terra. Sterbak non situa le sue performance in un contesto teatrale, ma in una dialettica concettuale che tiene in equilibrio il movimento, la narrazione e la individuazione stessa dell’immagine.
Nel momento in cui il video e la scultura si trovano a convivere in un teatro sottolineano l’essenza della composizione teatrale che, al di là del coinvolgimento scenico – narrativo – musicale, si attua -attraverso lo sguardo dell’altro-, come dice appunto il titolo del progetto di Jana Sterbak. Vedere o essere visti -attraverso lo sguardo dell’altro- non determina una reazione speculare statica, ma un’interazione con l’altro. Il cane con la telecamera sul corpo e’ il fulcro della performance dalla quale Sterbak ha creato il video, ma e’ anche una scultura autonoma che, metaforicamente, riprende cio’ che avviene attorno, oppure, trovandosi in un teatro lirico, possiamo viverla come un -assolo- che ritmicamente appare nello spazio.
Il progetto e’ realizzato con la collaborazione della Galleria Raffaella Cortese – Milano, e con il contributo di Galleria Toni Tapies – Barcellona, Galleria Barbara Gross – Monaco, Delegazione del Que’bec a Roma, Epson.