Strano periodo per l’arte internazionale, sembra quasi che censura e ritorsioni siano divenute pratiche così condivise che i gesti di chiusura spuntano un poco come i funghi da ogni parte del globo. Abbiamo seguito le vicende dello Smithsonian National Portrait Gallery di Washington DC e l’insensata rimozione del video A Fire In My Belly di David Wojnarowicz, in seguito siamo passati alla cancellazione del murale dello street artist Blu, operata da Jeffrey Deitch direttore del MOCA di Los Angeles. Per ultima in ordine di tempo la strana vicenda subita dalla galleria Furini Arte Contemporanea di Roma che si è vista censurare un’opera di Marlon de Azambuja dai vertici di ArteFiera Bologna.
In questi giorni a questa lista nera internazionale si è aggiunta un’altra spiacevole manovra presa dalla Russia nei confronti degli Stati Uniti. La disputa è iniziata quando gli USA hanno chiesto indietro una raccolta di 12.000 libri e 50.000 testi ebraici appartenenti al movimento Chabad Lubavitch. L’organizzazione Chabad di stanza a Brooklyn ha quindi chiesto la restituzione dei testi, vincendo una causa negli states. La Russia ha negato la restituzione sostenendo l’illegalità del procedimento giudiziario, ritenendolo fuori dalle leggi internazionali. La Russia ha in seguito dato inizio ad un periodo di raffreddamento diplomatico che è poi sfociato nella decisione presa negli ultimi giorni: quella di negare ogni prestito d’arte agli Stati Uniti. Alcuni dei più prestigiosi musei come l’Hermitage di San Pietroburgo e il Pushkin Museum di Mosca sono attualmente sul piede di guerra ed hanno deciso di cancellare i prestiti già programmati.
Molte opere di Paul Gauguin saranno quindi assenti da una grande retrospettiva organizzata dalla National Gallery of Art di Washington ed il Metropolitan Museum of Art di New York sentirà la mancanza di alcune opere di Cézanne per una mostra in programma la prossima settimana. Queste e tante altre saranno le assenze nelle mostre blockbuster di quest’anno se i rapporti tra le due nazioni non miglioreranno. Speriamo solo che le cose si sistemino, altrimenti questo “caso” culturale potrebbe trasformarsi in un pericoloso “caso” politico.