Batorfi | Holcova | Lehocka – Un altro romantico

di Redazione Commenta

Il 17 febbraio si è inaugurata alla Galleria Pack di Milano la mostra Un altro romantico con opere fotografiche e pittoriche di Denica Lehocka, Veronika Holcova e Andrea Batorfi. La mostra è curata da Lorand Hegyi.

Sebbene molti aspetti della cultura e dell’arte figurativa contemporanea dell’Europa centrale siano stati in parte discussi e presentati approfonditamente nelle ultime due decadi, dopo i cambiamenti politico-economici degli stati appartenenti a quella che una volta era la leggendaria Mitteleuropa, quando il pubblico occidentale incontra l’arte centro-europea, prova ancora una sensazione di esotico e una strana distanza. Spesso si fa ancora riferimento al fatto che questi paesi sono stati a lungo isolati dai movimenti intellettuali e dagli avvenimenti artistici occidentali.
Molte volte l’esposizione di un lavoro di un artista dell’Europa centrale o dell’est viene ancora visto come un evento eccezionale che necessita, per rendere la presentazione più comprensibile e legittima, il riferimento a numerosi aneddoti politici e fatti storici. Nonostante la nuova situazione europea stia lentamente eliminando questa sorta di reminiscenza della Guerra Fredda, troviamo ancora uno strano confine, invisibile e misterioso, tra il Vecchio Est e il Vecchio Ovest. O forse, dovremmo considerare un altro aspetto della visione storica più sensibile riguardo la diversità e la determinazione, riguardo i diversi modi di sentire, pensare e interiorizzare le esperienze umane. In breve, ciò che è più aperto e sensibile verso le realtà culturali, antropologiche e psicologiche, è riflesso nella forma simbolica del linguaggio, dell’immagine, dei miti delle diverse comunità umane concrete.

La mostra Un altro Romantico presenta tre artiste dell’Europa centrale il cui lavoro sembra poter essere contestualizzato nella tradizione latente, profonda e protrattasi nel tempo, dei Romantici. Potremmo anche parlare dello spiritualismo, dell’intimità, della rivisitazione del sublime come anche del desiderio profondo e silenzioso di volgersi verso il regno della sensibilità senza limiti, dell’osservazione dei processi e dell’ascolto delle voci prodotte dagli eventi che manifestano una connessione tra la concretezza antropologica dell’umano e l’universo.

In questo senso, troviamo diverse forme di approccio al sublime e, allo stesso tempo, l’orientamento umano genera un’interrogazione riguardo ai confini simbolici delle diverse sfere. Nella prassi artistica di Andrea Bátorfi la trasformazione lenta, enigmatica e inevitabile delle superfici osservate delle realtà naturali, in immaginario e realtà percepite, manifesta il suo interesse verso la creazione di una nuova cartografia di luoghi di incontro, dove un’esperienza spirituale inaspettatamente
profonda diviene evidente e decisiva.

I dipinti delicati e sensibili di Veronika Holcova mostrano un metodo elegante ed insieme enciclopedico per ripensare ad ogni possibilità figurativa per creare connessioni tra immaginazione ed esperienze culturali, tra memoria e partecipazione immediata di realtà sensibili, tra i processi psicologici personali, incontrollati, del subconscio, e metafore ideologiche e allegoriche che coinvolgono profondi modelli antropologici delle attitudini, gerarchie e orientamenti spirituali umani.
Il regno della confusa, depressa, ferita, estremamente fragile emotional interieur, di profonda paura e di speranze, crea, nei lavori di Denisa Lehocka, una sorta di pittoresca rete di frammenti e formazioni allegoriche. Il suo modo di rivisitare il sublime ci guida attraverso le esperienze più soggettive e intime, attraverso l’immaginazione radicale e ci costringe a partecipare alla sua coscienza del pericolo e della vulnerabilità. Ma è anche in grado di farci sentire che tale esperienza fondamentale di infinita fragilità, può essere presa come un dono, come la capacità di partecipare alla realtà dell’Altro.

Tutte e tre le artiste parlano di questa riflessione sull’Altro, che disturba e confonde. Questo Altro che si manifesta nell’incontro immediato con il Prossimo, nelle banalità più piccole e meno importanti, come anche nelle esperienze universali, illimitatamente importanti, inaspettatamente
grandi.

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