Pillole di Biennale 06 – Benvenuti in Italia

di Redazione 1

(Dove eravamo rimasti…) Ed eccoci infine a parlare di ciò che è sulla bocca di tutti da mesi, insomma non volevo essere da meno, per cui mi son fatta forza e sono entrata nel Paglione Italia, curato (?) da Vittorio Sgarbi. Ma non siamo ancora stanchi di parlarne? Io dico di no, forse non aggiungerò nulla al dibattito, ma ci sono cose di cui è sempre meglio parlare prima di dimenticarsene. È ormai assodato il fatto che, sfortunatamente per tutti gli artisti partecipanti, la vera opera del padiglione è Sgarbi stesso, che in un impeto di egocentrismo sta cercando di ripetere l’operazione con i Padiglioni regionali, ma per fortuna l’operazione sembra non riuscirgli più ed è costretto a tristi teatrini come quello con Marina Ripa di Meana per avere un po’ di pubblicità. (Se ancora non avete visto il video correte su YouTube e piangete anche voi).

Il problema per me, nel doverne parlare, è che l’esperienza che ho vissuto in quelle stanze, nonostante sia passato ormai un po’ di tempo, mi tormenta. Forse le parole migliore che possono descrivere come mi son sentita sono: insofferenza e oppressione. Percorrendo le sale ho dovuto veramente forzare il mio corpo a restare all’interno di quelle mura, perché il mio cervello voleva solo scappare via da quell’accrocchio di opere maltrattate. Perché di questo si tratta: maltrattamento di opere, artisti e di un intero paese, che sfortunatamente è il nostro.

L’allestimento è stato descritto da molti come fosse una lavanderia, oppure un magazzino, io dico che lo studio delle televendite di TeleElefante è meno raffazzonato. Opere che corrono su binari bianchi all’infinito, su fino al soffitto, in qualsiasi anfratto, coperte le une dalle altre e un toto-nomi per ricondurre i nomi alle opere. Se del buono c’è, io non sono riuscita a vederlo, non sono riuscita nemmeno a fare fotografie perché ogni inquadratura era brutta, non c’è altra parola. Brutto, senza sconti.

Così ho scelto una sola fotografia, che senza voler offendere nessuno, raccoglie in sé tutta l’arte italiana contemporanea.

Perdonate il sarcasmo in forma di fotografia, ma amo i carlini.

Torno seria per un attimo, giacché  non voglio passare per quella cinica che critica sempre, senza argomentazioni. Credo che l’idea iniziale fosse buona, nessuno può negare l’esistenza di una mafia tutta italiana all’interno del mondo dell’arte e portare in luce la cosa sfruttando il festival più importante al mondo poteva essere una mossa intelligente e sfrontato. Della serie ammettiamo i nostri limiti e li superiamo. E invece la scelta finale è stata quella di mostrare il problema e lasciargli le redini, perché, come alcuni hanno ammesso, i cosiddetti  intellettuali si sono ridotti a nominare l’amico dell’amico del figlio della portinaia. Non tutti, certo.

Ora vi racconto cosa avrei fatto al posto di Vittorione, un’idea come tante, ma che mi piace condividere. Avrei condotto un censimento su tutto il territorio, ma vero, con un bando aperto a chiunque per conoscere tutti gli artisti o presenti tali sul territorio italiano. Pensate che bel regalo all’Italia, un censimento del genere! E a questo punto, avrei accettato anche un’estrazione casuale di una manciata di nomi fra tutti. Certo, forse la qualità non sarebbe preservata, ma così avremmo la certezza di non aver favorito nessuno. Oppure, cosa più giusta, visto il premio in palio, si poteva creare un board per la decisione dei nomi pronti a rappresentare il nostro stato di fronte al resto del mondo. Una procedura corale e pubblica.

Direi che il mio punto di vista è chiaro, e non vi stancherò disquisendo sul unico filone artistico che sono riuscita a individuare all’Arsenale: la blasfemia pop. L’unica reazione di fronte a queste disperate ricerche di attenzione è la tristezza. Per cui vi lascio le parole che Giulio Paolini ha scritto nella sua opera per il padiglione: un bigliettino da visita con sopra il suo nome e la scritta “Et quid amabo nisi quod rerum enigma est? – E che cosa amerò se non l’enigma delle cose? “ (Friedrich Nietzsche)

E ora via veloci verso i Giardini, per tirarci su il morale. (Continua…)

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