Democrazie, potere e consenso

di Redazione Commenta

Esplorare il potere e il potere del mercato nella società contemporanea, focalizzando l’attenzione sull’intersezione tra politica ed arte e la loro costante riconfigurazione delle ideologie, ci impone prolifiche questioni relative al consenso, utili a definire i contorni della società in cui viviamo. I simboli, l’estetica, le manifestazioni del potere e il loro significato nelle diverse aree del pianeta e nel controllo o nella proprietà dello spazio pubblico diventano in Declining Democracy, presso il CCCS a Firenze, parte di una varietà di tematiche che affrontano questioni sociali scottanti quali la disuguaglianza e la differenziazione sociale. Declinazioni realizzate da 12 artisti per evidenziare il carattere virale di certe strategie di comunicazione tutt’altro che democratiche.

Spostare le sabbie di una duna di pochi centimetri è per Francis Alÿs, l’espressione di un gesto corale che nell’inutilità dello scopo si fa testimone dell’esigenza sentita da più parti, di meccanismi di governo partecipativi. Gli stessi che in territorio italiano, vengono stimolati e promossi dal lavoro del gruppo Buuuuuuuuu. Una partecipazione sociale totalmente negata dall’installazione multimediale di Michael Bielicky & Kamila B. Richter, dove tramite Twitter ogni nostra scelta, ogni nostro tiro al bersaglio diventa dato in borsa e dunque nuovo scenario politico mondiale che è di fatto, spettacolo da osservare.

Indagini diverse sui cittadini ed il loro rapporto con la storia – preludio alla politica dell’adesione democratica – diventano questioni utili per artisti come Roger Cremers o per gli spagnoli Democracia che, in collaborazione con un gruppo di giovani traceurs (tracciatori), segnano con grande vitalità i limiti fisici e le strutture architettoniche del cimitero civile di Madrid. Una storia perfino recentissima come quella che il colombiano Juan Manuel Echavarría, chiede di trasformare in triste ballata ad alcuni protagonisti sopravvissuti alle stragi consumate dai guerriglieri delle FARC. Contadini che cantano storie inenarrabili, registrate da una ripresa video impietosa tutta raccolta nel primissimo piano.

Si riflette sul ruolo strategico del concetto di appartenenza e sulle dinamiche relative alla conformità e al contingente nel lavoro di Thomas Feuerstein e in quello di Thomas Hirschhorn; mentre Thomas Kilpper, già apprezzato alla Biennale di Venezia ci racconta la prospettiva dell’altro, in questo caso l’immigrato costretto a sbarcare nelle coste di una Lampedusa resa inospitale. Artur Żmijewski, Lucy Kimbell e Cesare Pietroiusti ci chiedono di noi in maniera diversa, proponendoci di ricordare le manifestazioni e le azione di protesta che ci hanno coinvolto, chiedendoci di segnare la nostra uscita dalla mostra con una piccola spilla che racconti la nostra cittadinanza attiva e d’investire nuove energie sul concetto d’autorità e relativa costruzione dell’opposizione, tramite il workshop curato da Pietroiusti nei giorni della mostra.

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