Fabrizio Passarella – Retrophuture

di Redazione Commenta

Retrophuture è un progetto musicale/mediale con cui Fabrizio Passarella si presenta per la sua nuova personale romana presso The Gallery Apart (inaugurazione il 20 febbraio) nelle vesti non solo di artista visuale, ma anche di compositore e poeta. Messi da parte per una volta i pennelli, ma non certo il metodo di creazione di immagini per campionature, Passarella dà vita ad una sua interpretazione di quell’universo di suoni, stili, visioni e suggestioni ben noto agli appassionati di musica elettronica.

Arte e musica sono per Passarella le passioni più grandi fin dall’infanzia e, in questa occasione, egli porta ad estreme conseguenze il suo approccio tecnico e teorico volto a decostruire o rifiutare i linguaggi tradizionali. Ne emerge, quale primo step concettuale del progetto, la mostra che sta in una scatola, secondo una visione popolare della fruizione del processo creativo, un multiplo d’artista contenente ognuno l’intero corredo creativo di cui Retrophuture si compone, vale a dire un cd con 24 brani musicali composti dall’artista, un libretto recante 24 poesie e 24 immagini corrispondenti ai brani e infine un dvd contenente un video.
Il contesto nel quale il progetto Retrophuture si sviluppa comprende il minimalismo di Steve Reich, Terry Riley e La Monte Young, la decadente trilogia berlinese di Bowie, i suoni ambient di Eno, il romanticismo congelato di John Foxx, il primo pop “meccanico” di Gary Numan, il Krautrock e i mantra industriali post-rileyani dei Kraftwerk, le bizzarrie oblique di Steven Brown e Blaine Reiniger così come le centinaia di effimeri gruppi flexi-synthpop scovati su internet.

Passarella fa inoltre largo uso di materiale iconografico e di propaganda della Germania e della Russia degli anni trenta, senza che ci sia, ovviamente, nessun aggancio di tipo ideologico, pur essendo ben cosciente di muoversi in un terreno minato affrontato con l’ironia necessaria, rilevando le coincidenze estetiche dei regimi totalitari e l’uso della retorica come poetica base (come nei monumenti dello Stadio dei Marmi, o dei Kolkosiani, o nelle raffinatissime pellicole della Riefenstahl) ed esaltando l’eroismo titanico e della macchina (ripresi da Bowie in quello che è stato l’inno della fin de siécle scorsa), simbolo della spinta al tempo stesso reazionaria e modernista verso un ipotetico futuro splendente. Applicato alla musica, ciò significa una composizione scaturita come in una scrittura automatica surrealista e veloce, frutto della piena appropriazione di softwares musicali facili da usare, magari ricreando suoni analogici attraverso un semplice e geniale programma di Mac per principianti; mezzi perfetti per un non-musicista e un artista educato all’occhio, funzionando più come una specie di montaggio video o un photoshop musicale che come un foglio di composizione tradizionale. Vera design-music o pittura sonora ottenuta aggiungendo, sottraendo, cancellando, copiando.

Parallelamente alla musica, Passarella ha lavorato sui testi (metrica stringatissima, rime basiche, linguaggio visionario dei testi dei musicisti prima citati) e sulle immagini, creando per ogni brano musicale un corrispettivo poetico e visivo.
Il suo interesse però non era realizzare un’operazione nostalgica o di archeologia tecnologica, bensì riflettere sul senso profondo dell’evidente definitivo tramonto/declino/decadenza/crollo/fine (in una parola, Untergang) di una fase storica caratterizzata dal connubio tra una persistente eredità romantica europea, l’industrialismo del dopoguerra e l’odierna onnipresenza della tecnologia. La potenza del progetto di Passarella risiede nella lucida e spietata evidenza con cui dipinge lo stallo ideologico e culturale che caratterizza la stagione che il mondo occidentale e l’Europa in particolare stanno vivendo. La deriva economicista cui le formule interpretative in auge costringono la crisi, per Passarella deve lasciare il passo ad altre categorie di pensiero, a partire dalla Storia degli uomini e delle idee da cui trarre ispirazione per un futuro possibile.

Ma la sintesi del progetto Retrophuture è il video, concepito come un veloce videoclip synthpop, con una colonna sonora il cui testo significativamente recita: L’arte è un vecchio giocattolo/ ingombrante spazzatura da museo/ Noi costruiamo in solitudine/ il battito della moltitudine/ Noi costruiamo sculture di suono/ pitture immateriali/ minimalismi monumentali/ concettualismi portatili/ Visionari disintossicanti artistici/ che si possono portare ovunque/ in un piccolo involucro musicale/ per stimolare il cervello/ Noi siamo Ingegneri (di musica) elettronici/ Costruttivisti romantici/ Noi siamo designer (di musica) elettronici/ Ossimorici Retrofuturisti. Il video anima spezzoni storici scaricati dalla rete e filtrati: tra i tanti, documentari sulle Guardie Rosse maoiste, sui Pimpf hitleriani, cori e danze dell’Armata Rossa, Carmen Miranda, Rodolfo Valentino, ballerini di tango, un raro video sul “Monumento alla Terza Internazionale” di Tatlin, la “Lichtskhatedrale” dal “Triumph des Willens” di Leni Riefenstahl, sulle utopie urbanistiche della Russia stalinista e sul modellino della nuova Berlino di Speer. Ne è protagonista l’attore Michel Rennie di “The day the Earth stood still (Ultimatum alla terra) del 1951, archetipo dello spirito retrofuturistico dello scienziato manipolatore di energia (che qui si trasforma in suono elettronico), per riprendere la poetica robotica degli anni ’80, nei movimenti a scatto e stereotipati ottenuti con un’animazione primordiale.

Ed ecco che la mostra in scatola diventa anche esibizione in galleria di opere visuali, pezzi unici montati su alluminio delle immagini realizzate digitalmente in un fascinoso bianco e nero che dà enfasi alle atmosfere dove deco, retrò pre e postbellico e futuribile si mescolano. Una fanzine appositamente ideata e realizzata dall’artista completerà l’intero progetto

 

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