Claire Fontaine – Ma l’amor mio non muore

di Redazione 1

Per il titolo della sua prima esposizione personale a Roma che inaugura il 17 marzo presso T293 Claire Fontaine s’ispira al libro di vari autori uscito nel 1971 presso la casa editrice Arcana che non fu sequestrato dalle forze dell’ordine solo perché tutte le sue copie erano già esaurite quando l’azione fu lanciata. Ripubblicato in seguito da Castelvecchi, ed oggi da Derive Approdi, il libro racconta ricette per azioni sovversive o per la riappropriazione del proprio corpo ed il controllo della salute. Imbevuto del clima di un’avanguardia già quasi al tramonto il testo multicolore scritto da più mani lambisce anche l’avventura delle droghe e della resistenza attiva agli attacchi delle forze dell’ordine quando il movimento li poteva ancora fronteggiare.

Ma l’amor mio non muore è in questa esposizione anche il titolo ed il testo di un’insegna al neon che esprime la speranza e la fede in un avvenire di libertà, dal mezzo di un’epoca scoraggiante in cui resistere è difficile e pericoloso. Claire Fontaine scriveva nel 2006 che “le ragioni di un amore che non muore affondano spesso nel passato più che nel presente. Forse perché l’amore non ha, per così dire, il senso della realtà, ma ha il senso del possibile, è parente stretto del non ancora e del non più. Che noi amiamo il comunismo – e che lo amiamo ancora – vuol dire che per noi il futuro esiste e non è soltanto la proprietà privata dei dominanti di oggi o di domani. Vuol dire che l’amore che alimenta il passaggio del tempo, che rende possibili i progetti ed i ricordi, non è possessivo, geloso, indiviso, ma collettivo; che non teme né l’odio né la rabbia, non si rifugia disarmato nelle case, ma percorre le strade ed apre le porte chiuse.”

Il video Situations (2011) che parafrasa un dvd d’istruzioni sulla lotta di strada, è una serie di riproduzioni di gesti che invita lo spettatore a riprodurli una volta ancora. Inseriti in un dispositivo di natura brechtiana, gli attori si interrompono costantemente per rivolgersi al pubblico specificando che i movimenti che ci mostrano sono una simulazione. Allo stesso tempo, attraverso questo procedimento esplicitamente pedagogico, rendono i loro gesti citabili da parte di chiunque, gli amici come i nemici potenziali, ridistribuiscono delle conoscenze tecniche in modo indiscriminato.

Gli attori sono filmati in un white cube, un contesto astratto sia dal punto di vista spaziale che temporale: queste immagini raccontano dunque la storia di corpi che resistono e che attaccano, che potrebbero vivere in qualunque epoca, e che trasformano degli oggetti banali in armi e le loro azioni in un sistema di auto-difesa che non lascia vie di scampo.

Untitled (The invisible hand) (2011) è un ready-made modificato creato a partire da un pendolo di Newton, che è un gadget da ufficio estremamente diffuso, personalizzato da Lehman Brothers. Le sue biglie si trovano ora prigioniere di un campo magnetico che le mantiene in stato di moto perpetuo al di sopra di un campo da tennis di plastica sul quale si trovava già ironicamente inscritta la parola “Networking”. La scultura è al tempo stesso un commento sarcastico sul fallimento del gruppo – divenuto emblematico della crisi in cui ci troviamo ancora immersi – ed una metafora della teoria di Adam Smith secondo la quale una mano invisibile regola il libero mercato. Questo movimento fantasma, che fa ora a meno di qualunque intervento umano, è un messaggio inquietante che ci raggiunge da un momento economico ancora segretamente vivo ed attivo appena al di sotto della nostra attualità.

Il progetto è realizzato in contemporanea alla mostra di Claire Fontaine ’La chiave’ presso la Fondazione Pastificio Cerere, in via degli Ausoni 7 a Roma, visibile dal 16 marzo, giorno dell’inaugurazione, fino al 16 maggio 2012.

Commenti (1)

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