Non si brinda senza Bellini

In questi giorni la notizia è rimbalzata su tutti i magazine di arte contemporanea: Andrea Bellini lascia il Castello di Rivoli per il CAC di Ginevra ed il museo torna a nuotare nel grande mare della tristezza che ormai da tempo bagna la nostra martoriata Penisola. L’accoppiata Beatrice Merz / Andrea Bellini non ha certo contribuito a proiettare il museo nell’olimpo dell’arte contemporanea internazionale anzi, tra Arte Povera e sbadigli, Rivoli ci ha fatto vedere ben poco nei circa 2 anni di gestione del duo. 

Due direttori, due profumati stipendi e molto poco da vedere: Possiamo migliorare e lo faremo”, queste le parole ( dichiarate al quotidiano La Stampa) della coppia di fronte al colossale buco di 480 mila euro, scavato all’interno dei bilanci del povero museo nel marzo 2011. Di fatto per migliorare si è fatto ben poco, 2.2 milioni di euro elargiti dalla Regione per il museo, 145 milioni di euro a testa per lo stipendio annuale dei due direttori.

Una MAXXI rissa

Il tracollo del MAXXI di Roma somiglia troppo a quello che negli ultimi mesi stiamo assistendo nel resto del nostro martoriato stivale. Andiamo a farvi il riassunto di questa assurda telenovela. Circa un mese fa la decisione presa dal Mibac di commissariare il museo per un presunto buco nel bilancio. Di fatto il ministero aveva già da tempo chiuso i rubinetti, pregiudicando così il bilancio preventivo del 2012. Insomma una situazione del tipo “ti levo i soldi e poi dico che non hai soldi”. La presidenza del museo si era invece difesa sciorinando 450 mila visitatori nel 2011 ed una capacità di autofinanziamento di circa il 50% per quanto riguarda i fondi necessari alla sopravvivenza, tutto questo nonostante il taglione del 43% dei fondi statali che abbiamo citato poco fa.

 In tutto questo bisogna calcolare il disastroso danno d’immagine subito dal museo, quasi tutti i più importanti quotidiani internazionali hanno parlato di questa vicenda e ciò non è senz’altro salutare per la ricerca di nuovi sponsor.

A Silvia, il dopo-Evangelisti per risollevare Arte Fiera

 

 

 

 

L’annuncio ufficiale c’è stato: Silvia Evangelisti ha lasciato la guida di Arte Fiera Bologna, dopo anni di indiscussa leadership. La frattura si è verificata  proprio prima del break pasquale ma gli attriti tra gli azionisti e la direzione erano nati all’indomani della scorsa edizione della fiera. Come confermato alla stampa nazionale dalla ex direttrice stessa, il rimpicciolimento della fiera e la sempre più cronica mancanza di grandi gallerie (nazionali ed internazionali) rappresentano la miscela esplosiva che ha contribuito a creare un clima di malcontento generale.

Eppure Silvia Evangelisti si era battuta duramente per quel “restringimento” mal digerito, un atto dovuto per snellire una formula troppo esosa. Il problema però non è rappresentato solamente dai tagli alle gallerie ma da una poco elegante sequela di tagli alle spese che va un poco a cozzare con l’idea di lusso espressa dal mercato dell’arte contemporanea.

Steve Jobs, Apple e arte contemporanea


Nel corso del passato weekend, la notizia delle dimissioni da CEO di Apple di Steve Jobs che di fatto è stato rimpiazzato da Tim Cook. Jobs, da tempo malato, ha dichiarato che i dettagli delle sue dimissioni saranno resi noti all’interno della sua biografia di prossima uscita negli States. A parte ciò, le dimissioni del Guru della Tecnologia hanno gettato nel più profondo sconforto milioni di seguaci in tutto il mondo.

Steve Jobs ha innegabilmente rivoluzionato il mondo dei computers e della telefonia, ma di riflesso le sue innovazioni tecnologiche e di design sono riuscite a cambiare anche il mondo dell’arte contemporanea e se questa vi sembra un’affermazione spropositata, ecco alcuni esempi che saranno in grado di farvi cambiare idea. Pensate ad esempio ad iMovie, programma di montaggio video che innumerevoli video artisti usano oggigiorno, anche Ryan Trecartin per la sua presente mostra al MoMa di New York ne ha fatto largo uso.

Vittorio Sgarbi non lascia (purtroppo per noi) la Biennale

Una breve nota di stampa, rimbalzata su alcuni quotidiani proprio nel giorno della festa dei lavoratori, ha annunciato ieri la fine del burrascoso rapporto fra Vittorio Sgarbi e la Biennale di Venezia. Oggi invece, non senza una punta di tristezza, abbiamo appreso che sotto le pressioni di Silvio Berlusconi, Vittorio Sgarbi ha praticamente ritrattato tutto. Siamo giunti quindi all’ennesima puntata di una telenovela dal finale scontato che dar mesi sta tenendo con il fiato sospeso tutti gli amanti dell’arte dello stivale.

Vittorione Nazionale™ poteva certo risparmiarsi questa penosa rentree, ci saremmo risparmiati un Padiglione Italia da Televendita dell’arte. Berlusconi non è però l’unico ad aver riportato Sgarbi sulla retta via, anche il povero Paolo Baratta ha infatti lanciato numerosi richiami d’amore al suo adorato criticone: “Torna Vittorio, è tutto pronto, abbiamo le sedi per esporre i tuoi 700 artisti” e via dicendo, in un turbinio di affermazioni stucchevoli apparse in questi giorni su tutti i giornali.

Paolo Baratta, Luca Beatrice, Anita Ekberg ed il nuovo cinema Sgarbi

Alle prese di posizione del Vittorione Nazionale©, escluso dall’ennesima carica pubblica, il presidente della Biennale Paolo Baratta ha risposto con queste parole apparse sul Corriere del Veneto: «Per la mostra che realizza lì ha già chiamato vari intellettuali: è un bellissimo esercizio di analisi dello spaccato storico della società italiana e dei suoi rapporti con l’arte, un luogo dove si discute, si parla e non soltanto si rappresenta. È una bella cosa, per cui, per carità, la faccia!».

Il Giornale pubblica invece un’accorata e profumata lettera d’amore di Luca Beatrice indirizzata al nostro Vittorione: “Caro Vittorio, se è vera la tua intenzione di rinunciare alla curatela del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia, ti prego ripensaci(…) Questo potrebbe essere l’ultimo spazio che ci verrà dato prima che ritorni la restaurazione, e con essa quei padiglioni rigidi e frigidi, privi di sensualità e coraggio(…)

Il CAM chiama e la Germania risponde

Ricorderete certamente lo strano caso del direttore del CAM, contemporary Art Museum di Casoria. Per chi si fosse persa la notizia, vi ricordiamo che agli inizi di febbraio Antonio Manfredi aveva issato la bandiera tedesca sulla porta principale del msueo ed aveva chiesto asilo politico in una lettera inviata al cancelliere Angela Merkel, poiché vittima della camorra ed impossibilitato a proseguire le normali attività culturali dell’istituzione.

Manfredi aveva inoltre proposto di trasferire lo staff e l’intera collezione del museo in Germania, abbandonando di fatto una terra già fin troppo bersagliata da numerosi attacchi al suo patrimonio culturale. Ebbene il Corriere del Mezzogiorno ci informa che lo scorso lunedì, in mattinata, una delegazione formata dal console tedesco Christian Much, dal direttore del Goethe Institut di Napoli Maria Carmen Morese e dall’addetto alla cultura del consolato tedesco Atonia Weber, si è recata a far visita al tanto chiacchierato museo d’arte contemporanea.