Artisti britannici uniti per la…sanità pubblica

“Il tuo nuovo Servizio Sanitario Nazionale comincia il 5 luglio 1948.” Con questo conciso ma efficace slogan, il governo britannico annunciava alla popolazione la nascita di un nuovo servizio fortemente voluto dal Partito Laburista e già  progettato anni prima dal grande Winston Churchill. Parliamo ovviamente della sanità pubblica, servizio essenziale che dalle nostre parti è stato consolidato in concomitanza con la nascita dell’unità d’Italia (ratificato con la legge del 20 marzo 1865) e più avanti rielaborato dal regime fascista.

Il NHS, National Health Service britannico è stato per anni un modello su cui si sono formati altri sistemi sanitari internazionali e David Cameron aveva promesso di custodirlo gelosamente. Così non è stato, poiché la crisi economica ha costretto il governo a varare una proposta che ha l’obiettivo di ridurre in maniera drammatica il ruolo dello stato nella sanità con conseguente cancellazione delle strutture organizzative, organismi simili alle nostre ASL. Voi direte, cosa c’entra questo con l’arte contemporanea? Ebbene anche gli artisti inglesi hanno deciso di unirsi alla protesta popolare ed hanno quindi lanciato il blog dove oltre a poter firmare una petizione è possibile ammirare una serie di posters creati apposta per l’occasione.

Ryan Gander, l’inventore di mostre immaginarie

Tutto comincia con una misteriosa mostra collettiva in un magazzino di Hoxton, un distretto della città di Londra. All’evento partecipano diversi artisti che hanno creato le loro opere utilizzando i più disparati media, dalla fotografia alla scultura, dalla pittura alla performance passando per la video arte. La data della mostra è fissata per il 30 agosto, con chiusura il 23 ottobre 2011. C’è però qualcosa di strano in tutta questa vicenda, giunti proprio nella location prestabilita la mostra sembra finita da poco tempo o definitivamente chiusa, le opere sembrano sul punto di esser trasportate via dallo spazio.

Allo spettatore è permesso “rubare” alcune occhiate da dietro le finestre, accedere a spazi che rendono parzialmente visibile i resti della mostra, visionare dei documenti gettati in terra i quali non fanno altro che acuire la curiosità su ciò sta succedendo. Su una delle mura dell’ingresso del magazzino c’è una lista con sei artisti partecipanti alla mostra dal titolo Field Meaning, una finestra chiusa ed appannata nei pressi lascia intravedere l’ombra di un operaio che assembla le casse con le opere da spedire indietro, chissà dove.

Pillole di Biennale 07 – ILLUMInazioni centrali

(Dove eravamo rimasti…) L’errore fu pensare che il tempo bastasse, erano le quattro di pomeriggio quando lasciammo l’Arsenale e dagli altoparlanti dei Giardini, alle sei di pomeriggio, esortano vivamente all’uscita. Il classico errore da principianti, non immaginavo la vastità del luogo, ne la quantità di cosa che avrei voluto/dovuto visitare, così “finire di visitare i Giardini” è diventata la mia scusa ufficiale per tornare a Venezia prima di novembre. Capirete dunque che le mie parole, d’ora in avanti, saranno semplici flash e non una critica completa e cosciente di quello che avviene là.

Col senno di poi avrei potuto saltare l’ultima parte di Illuminazioni, quella dentro il Padiglione Centrale, per visitare più padiglioni nazionali, ma con i se e con i ma…
Padiglione Centrale, dicevamo, poco esaltante, esattamente in linea con il percorso iniziato all’Arsenale da Bice Curiger: pacato, variegato, ma senza guizzi. Se ci aggiungete la nostra stanchezza, d’altronde camminavamo dalla mattina, capite da cosa deriva quel retrogusto amaro comparso in fondo alla gola… a volte si ha proprio bisogno di vita, nell’arte.