[E]SC[H]ATOLOGY

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[E]SC[H]ATOLOGY dal 7 maggio alla galleria Akneos di Napoli, conflitto di tendenze, forze incompatibili che possono essere estese e prolungate quando una riconciliazione non è portata a compimento.

La scatologia viene alla luce come prima materia in termini alchemici. Lo stato iniziale dell’analisi e la dissoluzione della materia fisica, quando si riconoscono le qualità antitetiche. Una istigazione del caos, della sporcizia, che costituisce terreno fertile per la sintesi ed esorta o implica la rinascita di una totalità  ricostituita ed esaltata. Lo stato finale, l’eschaton, si raggiunge quando la materia  di base è purificata, quando il corporeo si congiunge al divino, il profano si fonde col sacro e quelle che erano le polarità di un antagonismo lineare si impegano  in un movimento circolare di controbilanciamento. Così la fine si congiunge al principio ripetendo il dramma archetipale della vita che succede alla morte e viceversa, così da garantire uno stato elevato di quiete.Marco Formisano spinge in fuori su ingiallita e fragile carta del novecento  forme di materia intestinale marcia portando alla luce bassi istinti primitivi, tendenze animalesche di inconscio sfrenato che risale a un inizio non identificato. Come avviene nella prima fase dell’alchimia, sembra qui realizzarsi la nigredo, la sostanza oscura e inquinata della materia in dissoluzione, della “materia che è al contempo defecata e defecante, oggetto e soggetto del malessere”, così come rileva l’artista lasciandolo contorto dal disgusto della sua vista. Quest’ultima è appesantita dalla realizzazione istantanea dell’obsolescenza e dalle limitazioni imposte all’ individuo dal mezzo impiegato per trasmettere il Sé. “E’ lo sforzo senza una bocca, uno sforzo manifestato dai prodotti delle viscere di un individuo, semplicemente un canale che non riesce a trasformarsi in un passaggio attivo ma elimina passivamente i rifiuti dal corpo, senza la bocca e solo grazie a continue ed estenuanti contrazioni”, egli dice. Ancora, egli diviene il canale attraverso cui  sono aperte tutte le possibilità di separazione dalla massa amorfa. Secondo Freud col separarsi dalle proprie feci, il bambino rinuncia ad atti piacevoli di autoerotismo, rinunzia che rappresenta il primo passo verso l’esterno, il primo passo di una dichiarazione d’amore per l’altro.

Allo stesso modo, l’artista Greco Poka Yio gioca con il suono della parola kakao (cacao in greco) che riporta alla mente la parola greca infantile kaka, escremento. Sul soffitto della galleria è attivata la coniunctio alchemica (l’unione di qualità distinte). La cioccolata si trasforma nelle tenebre onnivore dei desideri inconsci repressi, istinti primari, poiché essa rappresenta il desiderio centrifugo di plasmarla in dolci che saranno divorati con gratificazione. Essa è l’oscura forza allettante che attrae e costringe ad una reazione,  paradossalmente evidenzia il fascino attraente e ingannevole dell’oro. Gli alchimisti sostenevano che il loro oro non era oro comune e allo stesso modo nel lavoro dell’artista esso diventa il più prezioso e tuttavia più sporco dei metalli che non governa più l’esistenza ma la impone. Una serie di sfere anali di cioccolato nella forma del serpente che si morde la coda sembra rivelare un viaggio esoterico lungo le imperscrutabili vie della mente in un cerchio autoperpetuante di affermazione di identità ed integrità del carattere.
L’energia, requisito fondamentale  dell’evoluzione non può essere rilasciata senza lo scontro di forze contrarie. Tuttavia l’adesione a un tale stato di discordia provocherebbe solo disordine e alienazione al sé. L’effetto consolatorio dei simboli che sono sopravvissuti attraverso le età ed i popoli viene allora ricercato per compensare la frammentazione. La struttura di vetro e carbone di Enrico de Maio, che fuoriuscita purificata dal forno per il vetro che egli stesso ha costruito, evidenzia  la luce che proviene dalla rivelazione di ciò che trascende i confini del tempo e di questo mondo terreno, sfida il pensiero razionale del nostro presente. L’artista si rivela: “colpito dalla  trasformazione della materia; tutto collabora alla creazione dell’ opera, tutto non dura che un solo istante.” La partecipazione ad un eterno ciclo di vita dopo la morte proviene dai simboli di fede che si  tramandano di generazione in generazione, questa fede costituisce la nostra eredità più preziosa.

Jung sostiene che ci sono quattro modi nel nostro orientamento psicologico. Il primo è il senso che ci assicura l’esistenza di qualcosa all’ esterno. Il secondo è il nostro pensiero attraverso il quale possiamo stabilire di cosa si tratta. Il terzo è la sensazione attraverso la quale possiamo dire se quel qualcosa all’esterno è in accordo con noi e se la desideriamo o meno. E ultimo ma non meno importante, il quarto, la nostra intuizione, la nostra istintiva convinzione che ci rende noto da dove e verso dove qualcosa proviene e conduce. Quando è repressa dal pensiero conscio l’intuizione diviene come una forza oscura e indefinita, presente nella sua assenza che dissolve, avvelena e smaterializza l’identità. Allora, mai il divino si incarnerà, mai il corpo incorporerà lo spirito, mai colui che fà e il partecipante saranno imbevuti di intuizione allo stesso modo . La storia è quindi rovesciata, il presente ricostruito, se la cultura deve sopravvivere, il bisogno secolare di formazione di una solida personalità (l’individuo illuminato che si opporrà alle forze oppressive del nostro tempo) verrà alla luce.

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