Nel prestigioso spazio dalle ampie vetrine racchiuse dal colonnato della Pescheria Centro Arti Visive di Pesaro si articolano i lavori installativi di Elena Modorati, Paola Pezzi e Gianni Moretti. Inventario perenne è una tri-personale a cura di Martina Cavallarin che inaugura il 29 aprile e interpretata da artisti la cui ricerca artistica si svolge attorno al processo, a un’enumerazione ossessiva e moltiplicativa manifestata attraverso un’indagine coerente, una rincorsa tra naturale ed artificiale espressa mediante l’uso di linguaggi e materiali differenti. L’arte contemporanea, nella sua trasversalità, sensibilizzazione e apparizione, si apre alla sostenibilità per eludere il destino entropico mediante il massaggio del muscolo atrofizzato della società civile.
Elena Modorati (Milano, 1969) scava nella memoria e nel tempo. Il suo è un lavoro installativo poetico, appeso, galleggiante o adagiato a terra. Ciò che si respira di fronte all’opera è un senso di armonia che acclude dimensione diacronica e sincronica, un riscatto visto dal punto di vista della restituzione dell’oggetto ad un presente consapevole e silenzioso, una disposizione di frammenti che l’arte fa risorgere attraverso altre immagini e altri più profondi e consapevoli significati. Per questa esposizione l’artista milanese presenta delle figure e degli sfondi, installazione di ferro e cartoncino che ci parla di tracce necessarie, un lunario riutilizzato che è simbolo di svuotamenti di funzioni composto da un vecchio schedario contenente dei cartellini timbrati.
Quadrimestre bianco, è scultura che pende silenziosa dal soffitto, riferimento al più antico dei calendari ovvero quello “Nilotico” degli antichi egizi, frammento costituito dalla stagione invernale come evidenza del periodo più “latente”compresa tra quattro pareti sottili che si snodano dal soffitto per un lavoro che si avvale di tanti materiali assemblati in armonia come poliestere, cera, carta giapponese, filo di nylon e legno. La terza opera è La mia casa è diafana ma non di vetro… Apparterrebbe piuttosto alla natura del vapore, composto da un poliestere completamente sospeso su cui c’è un accumulo di fogli di carta (il caos denso del momento dell’ideazione) a cui fanno da controcanto delle cere a parete che ne sono la derivazione concreta, il “compimento” parziale.
Gianni Moretti (Perugia, 1978), presenta un’installazione a parete, gli Esercizi di aderenza, che prevedono un insieme di serie differenti sulle quali il giovane artista perugino ha innestato un unico processo che si basa sul tentativo di ricreare una forma identica partendo da un esemplare di uccello, il canarino, il falco, la rondine. L’opera è formata da più fogli di acetato sui quali l’artista ha disegnato il modello. Le immagini una volta riprodotte sono soltanto simili, ma mai identiche. Ciò evidenzia un concetto di frustrazione che materialmente è sottolineato dall’incisione che Moretti riporta sul foglio trasparente nei punti in cui le figure non collimano. Il tentativo racchiude un fallimento necessario essendo l’uomo fallace per natura e impedito nel riportare ordine nel caos. A terra invece le great expectations, sculture morbide, vortici che nascono dalle immagini stereotipate da cartolina di città in cui l’artista ha vissuto ritagliate ad altezze diverse in ognuno dei dieci fogli trasparenti dai quali l’opera è formata. Il concetto si fonda sul processo di attesa e sull’aspettativa di un qualcosa che la realtà esperita, inevitabilmente, stravolge.
Paola Pezzi (Brescia, 1963) manipola svariati materiali che vanno dal sughero al panno, dalla carta al retino, dal tessuto al feltro. Le sue sono sculture a terra e a parete, sono simboli che portano appresso dei significati al limitare di un pensiero vorticoso espresso attraverso cerchi, vortici, linee, espressioni organiche e disorganiche dove abitano ordine composto e primitivi disordini. La sua opera è una mappatura che passa dal macro al micro, da elementi naturali a emozioni introspettive per un’indagine dell’universo come dell’animo umano. Gomma, matassa o cartone sono manipolati concettualmente dall’artista bresciana attraverso una pratica psichica che racchiude una potenza energetica destrutturata e sensibile. Le due opere esposte a parete sono una mappatura dei lavori che Pezzi ha sviluppato nel progredire della sua pratica artistica, il primo una sorta di collage dalle tonalità in distonia e un altro monocromo bianco, mentre a terra Valanga di mani è un’opera bulimica, ironica e strabica nella sua circolarità, una voluttuosa e potente installazione che parla per metafora della storia individuale e collettiva.