Il cemento della memoria nell’opera di Lukáš Machalický

di Redazione Commenta

“Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente, controlla il passato” G. Orwell

Come preannunciato qualche settimana fa, il 18 maggio inaugura il secondo appuntamento mensile del MLAC di Roma. Questa volta tocca a Lukáš Machalický, secondo artista ceco della rassegna Czech Point a cura di Alessandra Troncone, occupare il piano inferiore del museo con un evento intitolato To my left, to my right e che sarà visitabile fino al 27 maggio 2011. Il lavoro di Machalický verte sull’analisi trans-storica degli eventi che hanno caratterizzato la fase del regime comunista nell’ex Cecoslovacchia. Trattandosi di un giovane artista, non ci sorprende il fatto che il punto di vista attraverso cui si dispiega questa analisi sia quello che passa attraverso le dinamiche della memoria. Come facciamo esperienza di questi avvenimenti pur non avendoli vissuti direttamente?

In Grey zone (2010), Lukáš ci presenta una serie di documenti relativi ad atti di contro-spionaggio attuato dai servizi segreti durante il regime. Questi documenti, resi noti successivamente in internet, sono ora visionabili con delle evidenti cancellature in cui vengono occultati i nomi e le referenze dei protagonisti di questi atti. Tale omissione diventa per l’artista mezzo formale il cui profilo costituisce i blocchi di calcestruzzo (materiale tipico delle costruzioni del regime) che l’artista dispone sul tavolo mettendo in risalto la durezza e l’asetticità di un materiale contro cui si scontrano le ambizioni e le aspettative di un’umanità schiacciata sotto il peso di un sistema appiattente e incontrovertibile.

Tale fredda monumentalità la ritroviamo anche in To my left, to my right dove, alla destra e alla sinistra dell’installazione di cui sopra, documenti e libri vengono utilizzati per erigere modelli che incarnano che richiamano i connotati dell’architettura nazista e sovietica e su cui vi sono slogan di propaganda del regime.

Ancora la cancellazione al centro delle opere Collected Writings (2008-2010) e 10.292 km2 of white (2011). Nel primo, su una catasta di carte accumulate su un tavolo, appaiono e scompaiono a intermittenza spezzoni di documenti appartenenti agli archivi di famiglia dell’artista. Il secondo è invece inteso come la documentazione di un’azione in cui l’artista ha letteralmente cancellato, con un compressore, una cartina di della Cecoslovacchia del Nord. L’operazione è documentata attraverso un video e una sequenza fotografica.

Cancellare dunque inteso come artefare, aggiungere piuttosto che sottrarre, alterare la storia affinché si perda la cognizione di ciò che è stato, su questi presupposti sono stati fondati tutti i totalitarismi ed è proprio per scampare questo pericolo che l’arte deve farsi portavoce di un senso critico che sappia guardare al di là del contenuto manifesto.

E come ci suggerisce Lukáš nella sua azione, dagli strati della vernice dell’oblio, riemerge sempre la vita con tutta la sua forza.

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