Pillole di Biennale 03 – Mondanità e fallimenti

di Redazione 1

(Dove eravamo rimasti…) Che fatica, non so voi, ma a me i viaggi in treno stancano parecchio, e se alle tre ore di sedile ergonomico (?) del Frecciabianca aggiungi sei ore di giri folli in una città fatta di ponti, comincerai a temere per la salute dei tuoi glutei e desidererai ardentemente un cocktail ristoratore.

Così, ripreso il battello, approdammo nuovamente a piazza San Marco. Pochi minuti per ammirare la Basilica dall’esterno con le sue pesanti decorazioni, mosaici e statue a ornarne la facciata; un’occhiata alla torre del campanile semi coperta da un cantiere e così buffa lontana dalla chiesa e dallo stile inconciliabile. Una risata sommessa scoprendo che la Torre dell’Orologio che decora un lato della piazza indica nient’altro che la via principale: un pertugio tra due palazzi e con questo non voglio certo rimarcare discorsi già fatti sulle stranezze della rete viaria cittadina.

E infine eccoci accomodarci al Caffè Florian, o meglio nello splendido dehors allestito attorno al piccolo palco che ospitava un’orchestrina. Situato sotto i portici delle Procuratie Nuove il Caffè Florian è il più antico d’Italia, nacque nel 1720 e fu ben presto crocevia di personalità e luogo d’incontro della mondanità veneziana. Oggi forse è più che altro meta turistica, non per nulla in rete si trovano infinite discussioni su quanto costi un aperitivo al Florian avviate da qualche viaggiatore che vorrebbe saggiarne l’emozione.

Potete capire dunque con quale spavalderia me ne stessi nell’area recintata in attesa dell’aperitivo in onore della mostra Temporanea 2011, iniziativa che evidenzia il legame tra l’arte contemporanea e il Caffè Florian come protagonista della città. Nelle scorse edizioni la Sala Cinese fu rivisitata da artisti come Mimmo Rotella, Gaetano Pesce, Arcangelo e Botto&Bruno, quest’anno l’onore è toccato al giovane romano Pietro Ruffo con l’installazione Negative liberty.

Ma andiamo con ordine: l’orchestrina inizia a suonare e i camerieri solerti iniziano a riempire bicchieri e poggiare sui tavoli vassoio di finger food su cui le signore ingioiellate si fiondano senza grazia. Noi ci dedichiamo al cocktail perché quello speciale, creato per l’occasione, si chiama Libellula: Cointreau, vodka, succo di ribes e prosecco. Ben equilibrato e piacevole al palato tant’è che tra stanchezza e stomaco vuoto devo avvertirvi: potrebbe causare lieve mal di testa, ma solo se ne bevete due o tre!

E l’arte? Non mi ero dimenticata dell’arte, ma insomma giacché si erano scordati di invitarmi alle mega feste titolate, dovevo rifarmi e poi vi assicuro che la vera opera d’arte erano gli invitati. Da tempo non ammiravo una tale e variegata umanità i cui discorsi avrebbero intrattenuto chiunque. Un po’ defilato, nel suo completo sgualcito, Pietro Ruffo firmava autografi come un divo di Hollywood e la sua stanzetta decorata ha sicuramente ricevuto numerosi complimenti. Il lavoro consiste in teche di vetro che ricoprono pareti e soffitto, all’interno un fitto bosco disegnato a grafite con perfetta prospettiva è ricoperto di libellule ritagliate e fatte emergere tridimensionalmente.

Per Ruffo la libellula è simbolo di libertà: si muove rapidamente in molte direzioni, ma ha vita breve.

Vi riporto la spiegazione del comunicato relativo, non tanto per pigrizia, ma perché alla base di Negative liberty troviamo un concetto abbastanza complesso: “Il titolo ovvero libertà negativa prende ispirazione dai due concetti di libertà di Isaiah Berlin (filosofo) il quale sosteneva che la libertà “negativa” fosse l’assenza di limitazioni o interferenze nei riguardi di ciò che un soggetto è capace di fare. Maggiore libertà negativa significa minori restrizioni delle possibili azioni del soggetto. La libertà positiva invece è l’idea della padronanza di se stessi, ovvero l’autodeterminazione e l’essere padroni del proprio destino”.

Come non bastasse l’artista aggiunge in giallo evidenziatore delle frasi da una poesia di Khalil Gibran: “L’ingiusta legge che vorreste abolire è la stessa che la vostra mano vi ha scritto sulla fronte”. Gibran si fa chiamare il profeta mica per nulla.

Se avete la possibilità entrate nella Sala Cinese e sdraiatevi sul pavimento, Pietro ne sarebbe felice e voi potreste vedere al meglio la sua opera certosina.

Lasciati i fasti del Florian l’ultima meta, prima di una meritata cenetta, sarebbe dovuta essere The book affair: fiera dell’editoria indipendente che il 3 sera offriva pure un dj set del duo Invernomuto. Sfortunatamente vi risparmierò il quasi litigio causato da Google Map (ma và?!) che sosteneva che Campiello delle Erbe 2003 – Campo San Polo, 30125 si trovasse esattamente a Piazzale Roma, quello dove si lasciano le auto e le speranze. E vi risparmio anche la tristezza nel trovare la fiera smantellata, molto probabilmente causa lamentele dei vicini di casa. Non vi racconterò neppure del fatto che alle dieci di sera molte cucine dei ristoranti chiudono e non è bello scoprirlo quando lo stomaco brontola da ore.

Vi dico però che nella prossima tappa si parte alla volta dell’Arsenale, 54° Biennale di Venezia sto arrivando! (Continua…)

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